martedì 11 ottobre 2011

John Fante, rabbia e letteratura



John Fante

L’8 aprile del 1909 nasceva a Denver nel Colorado, John Fante, scrittore americano anticonformista e arrabbiato.


Era il figlio di un modesto muratore abruzzese di Torricella Peligna (in provincia di Chieti) e la sua infanzia fu segnata da una drammatica povertà, dai violenti litigi dei genitori e dal difficile rapporto col padre (dongiovanni e ubriacone). La famiglia di emigrati e la sua vita ispirarono a lui – americano di prima generazione – il romanzo autobiografico d’esordio Aspettiamo la primavera, Bandini (1938), nobilitato da un tono ironicamente fantastico, in cui agiva per la prima volta Arturo Bandini, giovane scrittore italo–americano in cerca di gloria, suo “alter ego” anzi meglio sua “controfigura”.

Ebbe un’adolescenza turbolenta ma, con molte difficoltà, era riuscito a completare gli studi presso una scuola di Gesuiti e si era iscritto all’Università; aveva poi abbandonato la provincia per raggiungere in autostop Los Angeles, ove s’impegnò in umili lavori precari e iniziò a scrivere racconti.

Nel 1939 scrisse il secondo romanzo Chiedi alla polvere, caratterizzato dalla stessa scrittura ruvida e provocatoria, in cui il protagonista Bandini comicamente chiede agli scrittori della biblioteca di Los Angeles di fargli spazio: il romanzo fu tradotto in Italia negli anni ’50 da Elio Vittorini.

Dopo una lunga pausa di sceneggiatore per il cinema di Hollywood, un lavoro che non gli piaceva ma che pur non dandogli grandi soddisfazioni lo faceva guadagnare bene (collaborò anche con Orson Welles e Dino De Laurentiis), scrisse In tre ad attenderlo (1952), che gli diede la celebrità e che ispirò il film di Richard Quine del 1956 con Judy Holliday e Richard Conte (nominato agli Oscar per la miglior sceneggiatura). La moglie Joyce Smart – una giovane bionda poetessa di ricca famiglia, sposata in segreto nel 1937 a Reno (nel Nevada) senza il consenso dei genitori, che gli diede quattro figli e che rimase con lui sino alla morte – scrisse che romanzo e film rappresentavano «un’atmosfera domestica solare con un giovane marito amoroso e una moglie che aspetta il primo figlio, l’opposto di quel che era realmente accaduto nella nostra famiglia» (John, infatti, si era infuriato per la nascita del quarto figlio non desiderato e aveva momentaneamente abbandonato la famiglia).

Fante – un irrequieto e un arrabbiato che si sentiva ai margini e che detestava i ricchi – nei suoi romanzi manifesta una furiosa aggressività verso il mondo, raccontando con lirica tensione letteraria e proterva forza di sentimenti il disprezzo nei duri anni ’30 e ’40 dei “wasp” (white, anglo–saxon and protestant, cioè bianchi, anglosassoni e protestanti) per i “wop” (immigranti without papers, cioè senza documenti), guardati con sospetto per la loro caparbia voglia di riscatto e per la loro caccia al Sogno Americano che, possibile, era spesso vanificato da mille difficoltà, tra le quali la necessità di parlare in buon inglese e il desiderio di non essere giudicati soltanto per le origini o la razza.

Devastato da un diabete trascurato che nel 1974 lo aveva reso cieco e che più tardi aveva provocato l’amputazione di entrambe le gambe, preoccupato dalle condizioni economiche, provato dall’alternarsi di successi e delusioni, sprecando tempo e danaro nel golf e sui tavoli da gioco, nel 1977 (25 anni dopo l’ultimo romanzo) pubblicò con buoni riscontri La confraternita del­l’u­­va.

Poco prima della morte, avvenuta nel 1983 in una Clinica di Los Angels dopo 17 mesi di ricovero, riuscì a dettare alla moglie nella loro casa di Malibu l’elegiaco e lirico Sogni di Bunker Hill che conclude il ciclo di Bandini. Il libro rinnovò il successo di Fante, sottraendolo all’o­blio e rendendo interessanti per il pubblico e l’editoria i suoi numerosi testi inediti: furono pubblicati postumi Un anno terribile, La strada per Los Angeles e A ovest di Roma.

Charles Bukowski, un altro autore “maledetto” che lo aveva incontrato nel 1978 e che era divenuto un suo estimatore, scrisse di lui: «Un uomo davvero coraggioso... il migliore scrittore che abbia mai letto... lo scrittore più maledetto d’America... scrive con le viscere e per le viscere, con il cuore e per il cuore... era il mio Dio... Io sono Bandini, Arturo Bandini!». Nel 1980 fece ristampare dal suo editore Black Sparrow Press “Chiedi alla polvere” e ne scrisse una lusinghiera prefazione.

Con qualche libertà, ma con amoroso rispetto per l’autore, nel 2006 dal romanzo Chiedi alla polvere (Ask the Dust) fu tratto l’omonimo film di Robert Towne con Colin Farrell, Salma Hayek e Donald Sutherland, prodotto da Tom Cruise, che ha riproposto la storia d’amore di Arturo Bandini e della cameriera Camilla Lopez (rappresentazione autobiografica della tempestosa relazione di John con una ragazza di origini messicane): sullo sfondo, Los Angeles e la Grande Depressione. (www.zam.it, News, 12/4/2009)

P.S. Dal primo romanzo di Fante, Aspettiamo la primavera, Bandini (Wait until spring, Bandini), scritto nel 1938, tragico ma lieve e sorretto da un senso tenace di speranza, fu tratto nel 1989 il film Aspetta primavera, Bandini, sceneggiato e diretto dal regista belga Dominique Deruddere con Joe Mantegna, Michael Bacall, Ornella Muti e Faye Dunaway. E' la storia, in parte autobiografica, di Arturo Bandini (che avrebbe voluto chiamarsi John Jones), figlio di poveri italiani immigrati ma che avrebbe preferito essere americano e lanciatore dei Chicago Cubs. Siamo a Natale nel 1928, Svevo e la moglie Maria – abruzzesi emigrati in Colorado – hanno tre figli (Arturo, Augusto e Federico) e sono poverissimi e pieni di debiti con la banca. Il padre, muratore senza lavoro, tenta di sfuggire alla realtà quotidiana dandosi all'alcol e al gioco d'azzardo. Il quattordicenne Arturo – che ama il padre ma anche lo odia perché fa soffrire con i suoi tradimenti la madre, donna mite e devota – vive grazie all'amore non corrisposto per Rosa (una compagna di classe) e all'ardente passione per il baseball. E sia il padre sia il figlio aspettano l'arrivo della primavera che potrebbe cambiare in meglio le loro grame esistenze. Quando Svevo perde la testa per Mrs. Hildegarde, bella e ricchissima, che gli offre un lavoro e il suo letto, e lascia Maria per lei, sarà Arturo a recuperare il padre sottraendolo a Hildegarde riportandolo a casa dall'avvilita madre. Il film non è stato ben accolto dalla critica perché indulge a tutti gli stereotipi degli italiani, pastasciutta e mandolino, confondendo tra l'altro l'Abruzzo con Napoli, ma Michael Bacall nel ruolo di Arturo se la cava benissimo.

Dal romanzo Chiedi alla polvere (Ask the Dust), scritto da Fante nel 1939, è stato tratto nel 2006 il film omonimo, sceneggiato e diretto da Robert Towne, prodotto da Tom Cruise, con Colin Farrell, Salma Hayek e Donald Sutherland. Il film ripropone la storia d’amore di Arturo e Camilla. Arturo Bandini è uno scrittore italo–americano trasferitosi a Bunker Hill, un quartiere di Los Angeles, nell'albergo gestito dalla rigida signora Hargraves e abitato da gente molto povera. Egli – che sogna di scrivere il romanzo della sua vita e che vuol assomigliare a William Holden corteggiando belle e bionde ragazze platinate – s'innamora della bellissima cameriera Camilla Lopez, bruna e selvaggia, una messicana analfabeta incontrata al Caffè Columbia, che lo intimidisce per la sua diversità etnico–culturale. Pur innamorata di Arturo, Camilla gli preferisce il barista del caffé Sammy, che spera di sposare per conquistarsi un cognome americano (sogna, infatti, di sposare un WASP, White Anglo-Saxon Protestant). Quando Camilla, picchiata da Sammy, lo viene a trovare in albergo, Arturo decide di partire con lei per la costa. Prendono un tenero cagnolino e si sistemano in una deliziosa casetta sulla riva del mare: Camilla sembra felice e impara a leggere con Arturo, il quale scopre però che continua a drogarsi nonostante la sua promessa di non farlo più. Litigano e Camilla sulla strada polverosa lascia Arturo che non riesce più ritrovarla. Più tardi Sammy gli dirà che Camilla, morente per la tisi, si trova nella sua baracca. Arturo scappa immediatemente e all'amata in fin di vita rivelerà finalmente tutto il suo amore, chiedendole di sposarlo. Dopo la morte di Camilla, la seppellisce sulla sabbia accanto alla baracca, segnando il posto con una croce; quando tenterà di ritrovare il posto, la croce non c'è più, e Arturo lancerà sulla sabbia il suo libro con una dedica all'amata perduta. In effetti, nel libro, Arturo non incontrerà mai più Camilla, nonostante la cerchi a lungo nella polvere del deserto, e lancerà il suo libro con la dedica nella direzione presa dalla donna amata in fuga, montando poi in macchina e riavviando il motore alla volta di Los Angeles. La critica ha stroncato il film, che non è riuscito a rendere l'intensità del romanzo e che si è rivelato un melodramma ben scritto e diretto ma melenso e immerso in una falsa atmosfera (la Los Angeles, dove si perdono i sogni dei due amanti infelici e appassionati, è stata infatti ricostruita nel Sudafrica).


Dal celeberrimo romanzo Full of Life (titolo trasformato in Italia con In tre ad attenderlo), scritto da John Fante nel 1952, fu tratto nel 1956 l'omonimo film di Richard Quine, sceneggiato dallo stesso Fante, con Judy Holliday, Richard Conte e Salvatore Baccaloni. Il film fu nominato agli Oscar per la miglior sceneggiatura. La trama vede lo scrittore italo–americano Nick e la moglie Emily, deliziosa e bionda ragazza americana, aspettare il loro primo figlio. La necessità di alcune costose riparazioni nella loro casa, mette i due sposi in difficoltà e Nick è costretto a chiedere aiuto al padre Victorio col quale ha un rapporto problematico (è un muratore immigrato dal carattere duro, fiero delle sue origini italiane): spera che gli offra un lavoro. Questi problemi economici creano anche dei dissapori familiari (con riferimento soprattutto all'educazione religiosa del nascituro: la moglie non è religiosa), e Nick ed Emily sono costretti a lasciarsi. Ha scritto Tiziano Scarpa in "John Fante, nel nome del padre" (su Il Corriere della Sera del 18/04/1998): «Prendiamo questo "Full of Life" (splendidamente tradotto da Alessandra Osti per Fazi Editore). E’ il terzo romanzo pubblicato dopo "Aspetta primavera, Bandini!" e "Chiedi alla polvere": è stato scritto all’inizio degli anni Cinquanta, prima che Hollywood inghiottisse per decenni la narrativa di Fante dentro un gorgo di sceneggiature e dollari, fino alla strepitosa rifioritura senile dei "Sogni di Bunker Hill". Prendiamo "Full of Life", allora. L’ambizioso Arturo Bandini, il ventenne squattrinato che in biblioteca sognava il proprio nome sugli scaffali "nel settore della B, B come Bandini, vicino ad Arnold Bennett", qui si chiama John Fante: "John Fante, scrittore di tre libri. Il primo aveva venduto 2300 copie. Il secondo 4800. Il terzo 2100. Ma nel mondo del cinema non prestano attenzione all’andamento delle vendite. Se hai quello che loro vogliono al momento, ti pagano, e ti pagano bene". Sua moglie Joyce aspetta un figlio, si gonfia, un giorno sfonda il pavimento della cucina. La casa è un ammasso di segatura digerita dalle termiti. Chi chiamare per rappezzare tutto? Ma certo, il più bravo muratore d’America: Nick Fante! L’irruzione del padre nel romanzo è formidabile: un pazzesco viaggio in treno, litigi continui (si litiga dall’inizio alla fine, nei libri di Fante), incesti fra vita vissuta e vita scritta trasformano Nick Fante in un tremendo demone ostetrico ossessionato dalla propria discendenza, mentre l’americanissima Joyce regredisce ad un caricaturale cattolicesimo da madonnina incinta. Il povero John viene scippato della propria paternità, si scopre irrisorio anellino nella catena dell’essere, guscio d’uovo fra pulcino e chioccia.».

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