venerdì 7 ottobre 2011

Nelson Algren, scrittore–avventuriero e amante di Simone de Beauvoir



Nelson Algren

Cento anni addietro nasceva il grande scrittore americano Nelson Algren, sempre amato e popolare, il cantore (tra Twain e Kerouac) di un’altra America minore e smarrita, diseredata e violenta, selvaggia e romantica con le sue campagne desolate, i suoi bassifondi disperati, i relitti umani senza speranza, i malavitosi e i senza casa in lotta contro il disprezzo e il razzismo dei benestanti.


I suoi miserevoli personaggi sono descritti nel loro fango con asciutto senso lirico e commossa partecipazione umana: sono «coloro che non possiedono  nulla, assolutamente nulla, in una società dove proprietà e virtù sono la stessa cosa» ma che coltivano sogni, divorati da una rabbiosa voglia di riscatto.

Nelson Algren nacque a Detroit il 28 marzo del 1909; a tre anni si trasferì a Chicago – la «sua» città imperfetta (aveva scritto: «Amare Chicago è come amare una bella donna col naso rotto») – insieme alla madre pasticcera e al padre meccanico. Sogna di fare il giornalista e riesce a laurearsi in Giornalismo all’Università dell’Illinois nel 1931, tremendo periodo di crisi e bancarotta; senza lavoro, lascia Chicago e vagabondando raggiunge il Texas, ove si ferma lavorando come benzinaio. Per scrivere il suo primo romanzo ruba una macchina da scrivere e finisce in prigione ma nel 1942 gli arride il successo con Mai venga il mattino che narra le avventure di una gang di piccoli criminali (conosciuto negli anni ’50 anche in Italia), anche grazie alle lodi sperticate di Hemingway che lo considerava più grande di Faulkner; così commentò: «È un libro molto, molto buono... probabilmente il migliore venuto fuori da Chicago».

Sfonda poi definitivamente nel 1949 con L’uomo dal braccio d’oro, capolavoro teso e cupo che vinse il National Book Award e ispirò il famoso omonimo film di Otto Preminger del 1955 (forse la prima pellicola ad affrontare senza ipocrisie il tragico problema della droga e delle sue conseguenze). Algren non amò questo film: era stato invitato a scriverne la sceneggiatura ma la collaborazione col regista fu tanto disastrosa da citarlo in giudizio (in Nonconformity, uscito postumo nel 1994, scrisse: «Sono andato laggiù per mille dollari la settimana, ho lavorato lunedì e mi hanno licenziato mercoledì. Giovedì il tipo che mi aveva assunto aveva già lasciato la città»). Un entusiasta Hemingway scrisse di questo libro: «Non dovreste leggerlo se non sapete come s’incassa un colpo... Algren può colpire con ambedue i pugni e accerchiarvi...»; in effetti, le storie crude di Algren sono in grado di cambiare profondamente il modo di pensare dei suoi lettori.

A partire dal 1947 Algren fu l’amante “transantlantico” dell’anticonformista Simone de Beauvoir, compagna del filosofo esistenzialista Sartre e simbolo dell’emancipazione femminile, che sognando il mito americano era venuta negli USA per un ciclo di conferenze. Il loro amore difficile e complicato (Simone si rifiutava di lasciare Sartre, nonostante Nelson l’avesse chiesta in sposa) durerà per anni, mantenuta da uno stretto rapporto epistolare e da qualche visita reciproca. Algren, vero eroe da romanzo, si adirò per il rifiuto e la sua rabbia crebbe quando Simone de Beauvoir raccontò questa relazione appassionata ne I Mandarini (impudicamente, confessava che Nelson le aveva fatto conoscere quel piacere fisico che non aveva mai provato con Sartre, al quale l’univa amicizia e cameratismo).

La rabbia di Nelson crebbe ancor di più quando Simone diede alle stampe le sue lettere, nelle quali lo chiamava «Mio adorato marito senza matrimonio... mio sposo del Missisippi... mio marito coccodrillo», firmandosi a sua volta «vostra moglie per sempre... la vostra moglie ranocchia». Nella raccolta Lettres à Nelson Algren: Un amour transatlantique (che includeva più di 300 lettere), così scriveva dei due locali di Wabansia Avenue abitati da Algren: «Viveva in una catapecchia, senza bagno né frigorifero, accanto a un vicolo pieno di bidoni dell’im­mondizia fumanti e giornali svolazzanti; questa povertà sembrava ristoratrice, dopo il pesante odore dei dollari nei grandi alberghi e nei ristoranti eleganti, che per me era duro da mandar giù.». Sylvie Le Bon (che ha tradotto e pubblicato queste lettere) ha raccontato di avere ripetutamente chiesto agli agenti americani di Nelson il consenso per pubblicare anche le lettere di lui ma il rifiuto era stato secco e totale. In un’inter­vista rilasciata il giorno prima della morte, un Algren furibondo e pieno di rancore disse: «Sono stato nei bordelli di tutto il mondo... ovunque le donne chiudono la porta. Questa donna invece ha spalancato la porta e ha invitato il pubblico e la stampa... si è comportata in maniera indecente.».

Nel 1956 pubblicò Passeggiata selvaggia; scrisse: «Questo libro si chiede come mai dagli individui sperduti si sviluppino talora degli esseri umani migliori di quelli che non si sono mai sperduti nella loro vita»; il libro suscitò critiche discordanti; alcuni critici lo esaltarano, altri considerarono la prosa di Algren scadente e i suoi temi di sinistra ormai superati: l’America del dopo–guerra non era più quella misera e disperata della Grande Depressione. L’insuccesso riacutizzò le tendenze depressive dello scrittore che tentò il suicidio. Dopo un lungo periodo di silenzio, minato dall’alcol e divorato dal gioco d’azzardo, Algren muore a Long Island il 9 maggio del 1981 per una crisi cardiaca.

Il comune di Chicago, in sua memoria, aveva tentato di cambiare il nome di West Evergreen Street in West Algren Street ma per le proteste dei residenti dovette ripristinare il vecchio nome; nel 1998 gli dedicò però una fontana nel triangolo polacco di Chicago (all’incrocio tra Ashland, Milwaukee e Division), quartiere che amò e descrisse nelle sue opere, nel quale visse a lungo; tra l’altro, polacca fu la seconda moglie Amanda Kontowicz. (www.zam.it, News, 30/3/2009)

P.S. Con il romanzo Mai venga il mattino (Never Come Morning) del 1942, Algren debuttò nel mondo della letteratura, dedicando il libro alla sorella Bernice morta di cancro a 37 anni proprio in quei giorni. In quel periodo Algren viveva nel "Triangolo polacco" di Chicago, frequentando la gente del quartiere e fraternizzando con le difficili esistenze e la sofferta psicologia degli immigrati polacchi. In un alternarsi di lirismo e di cruda rappresentazione della realtà, l'autore, racconta i sogni di due ragazzi che vivono nel ghetto polacco di Chicago, abbandonati alla strada, Steffi e Brun (dal passato criminale). Per sfuggire al suo infelice destino, Steffi crede di trovare il suo riscatto sposando Brun che sembra poter avere successo nel pugilato. La dura e disumana città stronca, però, le speranze e le illusioni dei due giovani che si arrabbattano tra feroce periferia, miseria, povertà e camere gelide, prostituzione, prigione, ring e abuso di alcol. La svolta sembrerebbe arrivare con la vincita di Brun in un match decisivo, ma la sera stessa verrà arrestato dalla polizia per un omicidio commesso in precedenza. Il romanzo piacque alla critica (il The New York Times scrisse: «It is an unusual and brilliant book» e lo scrittore Malcolm Cowley definì Algren il «poeta dei bassifondi») ma grandi furono i problemi con la comunità polacca che si sentì mal rappresentata e denigrata nella sua propensione a delinquere, proprio nel momento dell'invasione della Polonia da parte di Hitler: in seguito a ciò, il libro venne ritirato da tutte le biblioteche pubbliche di Chicago.

Dal romanzo L’uomo dal braccio d’oro (The Man with the Golden Arm), scritto da Algren nel 1949, Otto Preminger trasse nel 1955 l'omonimo film con Frank Sinatra, Kim Novak, Darren McGavin e Arnold Stang Ambientato a Chicago, racconta la grama esistenza di Frankie Machine, un sensibile musicista e un abile giocatore d'azzardo, eroinomane e schiavizzato dalla moglie paralizzata per sua colpa. Alla ricerca del riscatto nella musica, incontra Molly, una dolce entraîneuse che lo aiuta a ritrovare se stesso e a uscire dal tunnel della droga, mentre la moglie – che aveva tentato inutilmente di tenerlo legato a sé con la malattia (ma, in effetti, fingendo perché era guarita da tempo) – troverà una morte tragica. Ha commentato Morando Morandini (ne "il Morandini", Zanichelli editore): «Sinatra in gran forma, bella musica di Elmer Bernstein (prima partitura jazz scritta interamente per un film), splendido bianconero di Sam Leavitt per un melodramma robusto e poco plausibile sulla droga. Titoli geniali di Saul Bass. Da un romanzo (1949) di Nelson Algren, adattato da Walter Newman e Lewis Meltzer. Fu il primo film di una "major" sulla tossicodipendenza dall'eroina, tema proibito dal codice Hays di autocensura.».


Il romanzo Passeggiata selvaggia (A Walk on the Wild Side), scritto da Algren nel 1956, è dedicato alla parte nascosta dell’America, costituita dagli emarginati, disperati, vagabondi, prostitute e ruffiani di New Orleans. Il libro è duro e radicale ma anche picaresco e bohemien; suscitò critiche discordanti e forse anche una certa opposizione ideologica per l’attacco dell’autore al "grande sogno americano" L’insuccesso provocò in Algren una grave crisi depressiva che lo portò a un tentativo di suicidio ( e non era il primo!). Dal romanzo fu tratto nel 1962 il bell'omonimo film di Edward Dmytryk (in Italia uscì col titolo di Anime sporche), sceneggiato tra gli altri da John Fante, con Laurence Harvey, Capucine, Jane Fonda, Anne Baxter e Barbara Stanwyck. E' la drammatica storia dell'agricoltore texano squattrinato Dove, che insieme a Kitty abbandona il Texas per andare a New Orleans alla ricerca del suo primo amore perduto Hallie (siamo negli anni '30, nel periodo della Grande depressione); la ritroverà a Doll House, un bordello di New Orleans gestito da Jo, che aveva lasciato il marito dopo che aveva perso le gambe in un incidente e che sembra ora legata a Hallie da un rapporto fortemente possessivo. Jo accusa Dove di aver rapito Kitty e lo costringe ad andar via senza Hallie, che alla fine morirà tragicamente uccisa da un colpo di pistola partito accidentalemnte durante una colluttazione. Come il libro, anche il film fu stroncato dalla critica: alla prima, Bosley Crowther del New York Times parlò di «lurid, tawdry, and sleazy melodrama (livido, volgare, e tenue melodramma». La canzone originale "Walk on the Wild Side" ha ricevuto la nomination agli Oscar (a Elmer Bernstein per la musica e a Mack David per le parole).

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