venerdì 4 novembre 2011

Ennio Flaiano, un umorista prestato al cinema e al teatro



Ennio Flaiano


Cento anni addietro (il 5 marzo del 1910) nasceva a Pescara Ennio Flaiano, grande umorista dal genio multiforme: fu sceneggiatore cinematografico e autore teatrale oltre che giornalista e critico (collaborò con "Oggi", "Mondo", "Cine Illustrato", "Star", "L'Europeo" e il "Corriere della Sera").

Fu anche un grande scrittore: il suo capolavoro Tempo di uccidere vinse nel 1947 il primo Premio Strega (e ispirò nel 1989 il bel film diretto da Giuliano Montaldo) e Il gioco e il massacro si aggiudicò nel 1970 il Premio Campiello. Dopo una infanzia trascorsa in giro per l'Italia, si fermò a Roma e si iscrisse alla facoltà di Architettura senza conseguire la laurea; amò Roma di un amore contraddittorio (arrivò a definirla «bivacco di rovine») e fece oggetto sia la città che i suoi cittadini (spesso insultati e derisi) del suo duro sarcasmo.

Per anni fu lo sceneggiatore preferito di Federico Fellini e gli fornì i superbi soggetti per Lo sceicco bianco (1952), I vitelloni (1953), Il bidone (1955), Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1960), l'episodio di Boccaccio 70 (1962), Otto e mezzo (1963) – l'artista in crisi interpretato da Marcello Mastroianni era certamente una diversa maschera di Flaiano oltre che dello stesso Fellini – e Giulietta degli spiriti (1965). Collaborò anche con Blasetti, Monicelli, Zampa, Lattuada, Soldati, Antonioni e molti altri registi ancora, scrivendo oltre ottanta sceneggiature, molte delle quali per i film italiani più riusciti nel periodo compreso tra il 1947 e il 1971. In campo internazionale collaborò alla sceneggiatura di Vacanze romane" (1953) di William Wyler e fornì il soggetto per Sweet Charity (1969) di Bob Fosse, tratto da "Le notti di Cabiria".

Col cinema visse però un rapporto di odio–amore: non si sentiva riconosciuto nel suo ruolo cruciale di soggettista e riteneva che la sua carriera cinematografica fosse precaria e poco gratificante perché il regista veniva considerato sempre e soltanto come il vero autore, al di là di u­na buona sceneggiatura. Tra l'altro, Fellini ebbe modo di dire ingiustamente che la collaborazione alla sceneggiatura di Ennio si riduceva a «interventi estemporanei e non a una vera e propria stesura dei testi». Flaiano si dedicò inoltre al grande teatro umoristico con le sue farse straordinarie: La guerra spiegata ai poveri (1946), La donna nell'armadio (1957), Il caso Papaleo e Un marziano a Roma (1960), e La conversazione continuamente interrotta (1972).

Segnato da una tragedia esistenziale (nel 1942 aveva avuto la figlia Luisa, detta Lelè, che si era ammalata di una grave forma di encefalopatia con gravi handicap), aveva scritto: «Sei stato condannato alla pena di vivere. La domanda di grazia, respinta... Coraggio, il meglio è passato»); narrò questa tremenda esperienza di vita ne La Valigia delle Indie (uscito postumo).

Fu colpito da un infarto nel 1971 e – prima che un secondo episodio fatale lo cogliesse a Roma ad appena 62 anni il 20 novembre 1972 mentre era ricoverato per sottoporsi a un banale controllo clinico – raccolse e catalogò molte delle sue preziose carte inedite (tra le quali: progetti di sceneggiature, scritti per la radio o la televisione, copioni teatrali, aneddoti su film mai fatti, critiche cinematografiche, pamphlet, elzeviri e osservazioni di costume), che furono pubblicate postume (Opere – Scritti postumi e Opere 1947–1972).

Critico controcorrente, Flaiano fu uno scettico al di fuori dal "coro dei movimenti letterari e degli schieramenti ideologici", un dissacratore dotato di comico senso tragico (un ossimoro che mai è stato così vero) e di una forte spinta morale intrisa di sarcasmo e pessimismo, uno spregiudicato intellettuale capace di cogliere i paradossi della vita e di dare un'impietosa interpretazione della realtà italiana del suo tempo (con straordinario intuito profetico, nel 1970 scriveva: «Fra 30 anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione»).

Fu il primo a intuire la crisi della persona umana per colpa del consumismo (col suo venir meno di valori morali e punti di riferimento) e dell'eccesso di una comunicazione mass–mediale volgare e superficiale (aveva scritto: «La civiltà del benessere porta con sé proprio l'infelicità»).

La critica e storica della letteratura Lucilla Sergiacomo – che sullo scrittore ha pubblicato Invito alla lettura di Flaiano (Mursia, 1996) – in una intervista ha osservato che per la sua «capacità di fondere la noia di vivere e l’ironia» la risata di Flaiano «è il riso satirico, non quello liberatorio della comicità pura... dietro all'effetto immediato e al riso, c'è la profondità di un pensiero disincantato, un cupo nichilismo senza speranza». Scrive ancora la Sergiacomo: «Nella sceneggiatura de “I vitelloni”, ad esempio, nella sonnolenta città balneare che fa da sfondo al­l’a­zione dei protagonisti si può riconoscere Pescara, non solo la Rimini del film di Fellini, così come in Moraldo, l’unico del gruppo di amici che parte e tradisce gli altri, si può ritrovare la controfigura di Ennio Flaiano, che insieme a Fellini e Pinelli fu autore del racconto Moraldo in città, a cui è ispirato il film.». ("Persinsala.it", 7 marzo 2010)

P.S. Dal romanzo Tempo di uccidere fu tratto l'omonimo film di Giuliano Montaldo con Nicholas Cage, Ricky Tognazzi e Giancarlo Giannini. La trama ruota attorno alle vicende surreali di un ufficiale italiano che, durante la campagna di Etiopia, ferisce involontariamente e lascia morire nel deserto una ragazza indigena che vestiva un turbante e con la quale aveva avuto un incontro d'amore. Durante una licenza cura un mal di denti ma nel viaggio di ritorno, sull'altipiano, vede delle altre indigene con un turbante e gli viene spiegato che sono delle lebbrose. Ricorre allora a un medico e si convince di essere contagiato; spaventato da una possibile denuncia del medico, tenta di sparargli senza ucciderlo e scappa a Massaua ove cerca un imbarco clandestino. Conosciuto un venale maggiore, lo segue in viaggio verso l'altipiano, lo deruba, e ne manomette il camion. Disperato per i delitti commessi, vaga per l'altopiano e trova riparo in un villaggetto ove incontra il vecchio Johannes, che medicherà le sue lesioni. Decide allora di costituirsi ma, scoprendo che non esiste nessuna denuncia contro di lui, insieme con gli altri militari italiani, inizia il suo ritorno verso casa attanagliato dai rimorsi. Ha critto Morando Morandini (ne "il Morandini", Zanichelli editore): «Dall'unico romanzo di Ennio Flaiano, premio Strega 1947, un film illustrativo, corretto, inerte, che non riesce a dare una seconda vita a uno dei migliori romanzi italiani del primo dopoguerra, la prova narrativa più impegnata del multiforme ingegno dello scrittore abruzzese. Apprezzabile il giovane R. Tognazzi, attore con la sordina. Sceneggiato dal regista con F. Scarpelli e P. Virì, fu girato tra molte traversie nello Zimbabwe, 3000 km a sud dell'Etiopia la cui situazione interna, resa pericolosa dalla guerriglia, sconsigliò le riprese.».


Dalla sua farsa teatrale Un marziano a Roma (1960) fu tratto nel 1983 l'omonimo film comico di Bruno Rasia e Antonio Salines, con Antonio Salines, Renzo Rossi ed Elio Bertolotti. La storia è ambientata nell'ottobre del 1953: un disco volante, guidato dal marziano Kunt (bello e biondo come uno svedese), atterra nel prato del galoppatoio, a Villa Borghese, destando curiosità ed emozione nel popolo romano che accorre in massa per vedere l'alieno. Kunt è accolto dal Sindaco e dal Presidente della Repubblica, invitato a numerosi ricevimenti e ricevuto anche dal Papa. L'astronave viene recintata e diventa osservabile da vicino a pagamento. Il marziano suscita anche l'entusiasmo degli intellettuali di sinistra che prima tentano di utilizzarlo ma poi lo abbandonano al suo destino. Stanco e deluso, Kunt se ne ritorna nella sua astronave, desideroso di rientrare a casa nonostante i tanti problemi da risolvere.

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