venerdì 11 novembre 2011

Victorien Sardou, l’autore che torturava le sue eroine. 100 anni dalla morte



Victorien Sardou



L’8 novembre del 1908, cento anni addietro, a Marly, moriva Victorien Sardou, indimenticabile drammaturgo francese nato a Parigi nel 1831. Nonostante appartenesse a una famiglia piccolo–borghese, durante l’adolescenza ebbe difficoltà economiche e sospese gli studi di Medicina per dedicarsi al teatro.

Si era nella seconda metà dell’Ottocento, e gli scrittori desideravano rinunciare al fantastico per tentare il recupero della cruda osservazione dei fatti sociali contemporanei; su questa linea di realismo si mosse Sardou raccontando le debolezze, i costumi e le abitudini della borghesia francese in crisi agli albori del Novecento.

Scrisse diverse commedie, che non riuscì a rappresentare sino all’esordio nel 1854 con La bettola degli studenti che fu un vero fiasco. Nel 1855 sposò l’attrice Laurentine de Brécourt che lo curò mentre era malato di tifo e che lo introdusse nel mondo del teatro; pian piano la fama cominciò a premiarlo con Figaro alle prime armi e Zampe di mosca, che ebbero un successo strepitoso e lo lanciarono nel mondo del vaudeville. Scrisse in seguito dei drammi d’impronta borghese per colorare poi le sue commedie con i toni della satira politica (Ragabas e L’odio).

Nel 1877 fu nominato all’Académie Française e salì agli onori della corte di Napoleone III. Si dedicò allora alla composizione di drammoni storici pieni di colore antico, fascinosi intrecci e approfondimento psicologico, dedicati a eroine eterne (vere e proprie prime donne, attorno alle quali si accalcavano tempeste di sentimenti ed eventi vorticosi). Sardou ebbe il merito di creare un aggrovigliato intreccio tra storia e finzione su uno sfondo politico–sociale che era la premessa per dare una plausibile realtà alle sue tragiche vicende di fantasia, per fornire “un marchio di autenticità ai protagonisti del dramma che giungevano all’appuntamento col destino provvisti di una precisa identità biografica”. Tra questi drammi sono da ricordare: Fédora (1882) che ispirò l’opera lirica di Giordano, Théodora (1884), Tosca (1887) da cui fu tratto il libretto d’opera di Giacosa e Illica musicato da Puccini, Cléopâtre (1890), e Madame Sans–Gêne (1893) – storia frizzante di una lavandaia che sposa un generale napoleonico – che ispirò il libretto per un’altra opera di Giordano.

Molti di questi testi furono scritti per la popolare attrice francese Virginie Déjazet ma alcuni furono pensati per la grande Sarah Bernhardt. Il sodalizio tra Sardou e Sarah iniziò nel 1882 quando, al ritorno dell’attrice da una sua strepitosa turné americana durata sette mesi, Sardou la contattò per interpretare Fédora. Dopo la lettura del testo fattale da Sardou, la Bernhardt scrisse: «Che grande artista! Che splendido attore! Che autore meraviglioso!... Ah! gridai dopo la lettura. Grazie maestro, grazie per questa bella parte! E grazie per la bella lezione che mi avete dato». Da allora, insieme a Sardou, l’attrice – al centro di amori fatali e abile nel comunicare ai suoi personaggi «non soltanto la sua anima, il suo spirito e il suo fascino fisico ma anche il suo sesso» (come scrisse il critico Jules Lemaître) – conobbe un rilancio nella carriera. Oltre all’af­fa­scinante personaggio della principessa e spia russa Fedora, il commediografo mise a disposizione di Sarah una galleria di eroine mélo adatte alla sua sensibilità teatrale e alla sua grazia piena di sensualità (aveva un ambiguo aspetto androgino!), quali l’imperatrice di Bisanzio Teodora (ricca di ori e di erotismo), Cleopatra (conturbante e fatale regina d’Egitto) e la tormentata cantante Tosca che muore per amore del pittore Cavaradossi.

Mentre aumentava la sua popolarità, Sardou contribuiva a creare il mito immortale della Bernhardt, e fu proprio l’attrice che – portando Tosca in turné in Italia – nel 1889 attrasse l’attenzione di Puccini, che realmente stregato da lei decise di mettere in musica il dramma francese; in effetti, la critica italiana stroncò il testo di Sardou, accusandolo di «crudezza cupa e convenzionale… che specula sulla volgarità intellettuale e morale del suo pubblico», ma scrisse invece di Sarah: «…il pubblico fu incantato da lei, da lei fu ammaliato». Della Bernhardt, George Bernard Shaw aveva già detto: «Sarah non penetra nel carattere che rappresenta, ma si pone semplicemente al suo posto».

A distanza, la grandezza di Sardou appare oggi alquanto ridimensionata, ma non gli si può negare di essere stato uno dei migliori mestieranti del suo tempo, un maestro degli equivoci e del­l’intrigo così abile e accurato da attrarre le platee di tutto il mondo con le sue trame complicate, la costruzione complicata degli ambienti e la piacevolezza dei dialoghi (molto amate erano le sue inventive macchine teatrali che producevano sorprendenti “coups de théâtre”). Al giovane drammaturgo che gli chiedeva consigli sul come costruire delle commedie di successo, Sardou rispondeva cinicamente: «Tortura le donne!». (“La Sicilia” 9/11/2008)

P.S. In ambito teatrale, il successo cominciò a premiare Victorien Sardou, prima con Figaro alle prime armi (Les premières armes de Figaro) (1859), quindi con Zampe di mosca (Les pattes de mouche) (1860), Monsieur Garat (1860) e I nostri intimi (Nos intimes) (1862), commedie che ebbero uno strepitoso successo e che lo lanciarono nel mondo del vaudeville, facendolo divenire tra l’entusiasmo delle folle il dominatore del teatro parigino. In seguito, prendendosi gioco delle volgari classi emergenti, della gente di campagna e dei politici antiquati (e di questa commedia leggera, Eugéne Labiche divenne l’ideale continuatore), scrisse: La famille Benoîton (1865), I vecchi ragazzi (Les vieux garçons) (1865), I nostri buoni villici (Nos bons villageois) (1866), Séraphine (1868) e Patrie! (1869), per poi colorare le sue commedie borghesi con i toni crudi della satira politica in Ragabas (1872), Andréine (1873) e L’odio (Le haine) (1874).

Nel 1877 fu nominato all’Académie Française e fu introdotto nella fastosa corte di Napoleone III. Investito da tanto onore, si dedicò allora alla composizione di drammi storici, dedicati a eroine eterne (interpretate sia dall'attrice francese Virginie Déjazet sia dalla grande Sarah Bernhardt); ricordiamo: Dora (1877), Fédora (1882) che ispirò l’opera lirica di Umberto Giordano (rappresentata per la prima volta a Milano nel 1898), Théodora (1884), Tosca (1887) da cui fu tratto il libretto dell’opera di Giacomo Puccini (rappresentata per la prima volta a Roma nel 1900), Cleopatra (Cléopâtre) (1890), Madame Sans-Gêne (1893) scritta insieme al commediografo Emile Moreau che ispirò il libretto di un’altra opera di Giordano (rappresentata per la prima volta a New York nel 1915), e “Gismonda” (1894). Nel 1897 scrisse il controverso “Spiritisme”, in cui recitò la Bernhardt, fondato sulla fede dell’autore nella vita oltre la vita (Sardou era un medium convinto, che si dedicava alla scrittura automatica in sedute spiritiche e che nei circoli spiritistici amava raccontare le straordinarie manifestazioni ultraterrene alle quali aveva assistito).

All’ultimo periodo appartengono Robespierre (1899) e Dante (1903), scritte espressamente per Sir Henry Irving (grande attore inglese dell’età vittoriana), La Pisie (1905) e La tragedia dei veleni (The drame des poisons) (1907).

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