giovedì 1 dicembre 2011

Jean Anouilh e la fiera "ribelle" Antigone



Jean Anouilh



Cento anni addietro, il 23 giugno del 1910, nasceva a Bordeaux Jean Anouilh, grande drammaturgo francese oltre che regista e sceneggiatore di film.


Figlio di un sarto e di una violinista che faceva parte di un'orchestra estiva che si esibiva presso un Casino, iniziò ben presto a respirare la polvere del palcoscenico.

Interrotti gli studi, lavorò presso un'agenzia pubblicitaria e scrisse per il cinema. Lettore accanito e amante del teatro antico e moderno, dopo un esordio infelice con la farsa Humulus le muet (1929), scrisse L'Hermine (L'ermellino) (1932), il cui protagonista è un idealista che lotta inutilmente contro un ambiente ostile dominato dal denaro e dalle ambizioni.

Giovanissimo, nel 1931, sposò l'attrice Monelle Valentin da cui ebbe una figlia e iniziarono così responsabilità familiari e problemi economici (acuiti dal fallimento di alcune rappresentazioni) che lo tormentarono per anni.

Ebbe successo con Le voyageur sans bagage (Il viaggiatore senza bagaglio) (1937), da cui lo stesso Anouilh trasse un film nel 1944: il protagonista Gaston è un veterano della I guerra mondiale che ha perso la memoria e che, scoprendo di essere stato un malvagio, per non rinunciare alla nuova conquistata purezza, preferisce rifiutare la precedente personalità (questa trama mi ricorda molto quella del film "A proposito di Henry"). Le centinaia di repliche di questo e di altri testi di successo – La sauvage (La selvaggia), Le bal des voleurs (Il ballo dei ladri) (1938) e Léocadia (1940) – risolsero tutti i suoi problemi economici.

Del 1944 è la grande celeberrima Antigone (1942): ispirata dall'Antigone di Sofocle ma risolta in maniera moderna, fu rappresentata al Théâtre de l'Atelier con la regia di Barsacq. In effetti, come spesso capita ai grandi capolavori, la prima rappresentazione non ebbe successo né di pubblico né di critica (l'autore parlò di «vera e propria catastrofe») e alcuni vi colsero una posizione in favore della Germania nazista che occupava la Francia. In seguito, però, non le mancarono la gratificazione del pubblico e la considerazione della critica. La tragedia narra di Antigone, un'eroina che sceglie la morte, scagliandosi contro il dispotismo del re Creonte (pronto a schiacciarne ideali e sentimenti) e contro la sua ingiusta imposizione di non seppellire il fratello Polinice (morto nello scontro fratricida con Eteocle). La stessa moglie di Anouilh ebbe un trionfo personale nell'interpretazione di Antigone.

Egli così ci presenta i due protagonisti Antigone e Creonte nel Prologo: «Ecco. Questi personaggi vi reciteranno la storia di Antigone. Antigone è quella magrolina seduta laggiù, e che non apre bocca. Guarda diritto davanti a sé. Pensa. Pensa che fra poco sarà Antigone, che improvvisamente sorgerà dalla magra ragazza scontrosa e chiusa che in famiglia nessuno prendeva sul serio, e si ergerà sola di fronte al mondo, sola di fronte a Creonte, suo zio, che è il re. Pensa che sta per morire, che è giovane e che anche a lei sarebbe piaciuto vivere. Ma non c'è niente da fare. Si chiama Antigone e bisogna che reciti la sua parte fino in fondo... Da quando il sipario si è alzato, ella sente che si allontana a velocità vertiginosa... da noi tutti, che stiamo qui tranquilli a guardarla; da noi che non dobbiamo morire stasera... L'uomo robusto, coi capelli bianchi, che medita là accanto al suo paggio, è Creonte. È il re. Ha delle rughe, è stanco. Gioca al gioco difficile di guidare gli uomini... Ha lasciato i suoi libri, i suoi oggetti, si è rimboccato le maniche... Creonte è solo...».

E in bocca alla sua Antigone mette le seguenti parole: «Mi disgustate con la vostra felicità! Con la vostra vita che bisogna amare a ogni costo. Si dirà dei cani che leccano tutto quel che trovano. E di quella piccola possibilità che esiste per tutti i giorni se non si è troppo esigenti. Io (moi), io, voglio tutto e subito, – e che esso sia intero – o altrimenti lo rifiuto! Io non voglio essere modesta, io (moi), e accontentarmi di un piccolo morso soltanto se sono stata molto saggia. Io voglio essere sicura di tutto oggi, e che ciò sia così bello come quando ero piccola – o meglio morire.».

E Creonte non è un vero e proprio tiranno, spinto soltanto dalla sete del potere: vorrebbe salvare Antigone tradendo se stesso e la legge di cui è portatore (sarebbe disposto a liberarsi dei testimoni che l'hanno vista seppellire il fratello), vorrebbe che Antigone stesse calma, che sposasse il figlio Emone, e che soprattutto ingrassasse. Ma Antigone è un'eroina tragica che si autodistrugge per il desiderio di affermarsi, pur consapevole di essere una piccola donna dinanzi a grandi avvenimenti (condannata da Creonte a esser seppellita viva, lo precede impiccandosi e il suo suicidio è seguito da quello di Emone).

A guerra appena finita, in Italia, la tragedia fu rappresentata da Luchino Visconti con Rina Morelli; e alla fine degli anni 90, al Teatro Greco di Siracusa, Pamela Villoresi è stata una grande interprete del testo di Anouilh, con i costumi e la sepolcrale scenografia dello scultore Arnaldo Pomodoro. L'Antigone ha ispirato tra l'altro il film italiano di Liliana Cavani "I Cannibali" (1968), in cui l'azione è stata trasferita nel periodo della contestazione studentesca e la contestataria Antigone è stata interpretata da Britt Ekland.

In seguito Anouilh non ebbe altro che successi, affermandosi sia in Europa sia in USA; ricordiamo: Médée (1946), L'Alouette (L'allodola) (1953) dedicato a Jean d'Arc, Colombe (1951), la farsa sessuale La valse des toréadors (Il valzer dei toreador) (1952) che ispirò nel 1962 il film di John Guillermin con Peter Sellers, e Becket ou l'honneur de Dieu (1959) noto in Italia come Becket e il suo re – che vinse un Tony Award e l'Antoinette Petty Award for Best Play of the Season (1960–61), e che fu trasformato nel bel film diretto da Peter Glenville (1964) con Peter O'Toole e Richard Burton, vincitore di un Oscar per la sceneggiatura non originale di Edward Anhalt.

Dopo l'insuccesso de La Grotte (1961), Anouilh decise di dedicarsi alla regia (allestendo spettacoli e balletti, traducendo e adattando lavori di Oscar Wilde e Graham Greene) e alla moderna commedia di carattere, di notevole gradimento per il pubblico (fu definito un «autore di teatro di distrazione»); restò comunque un drammaturgo molto rappresentato. 

Sin dal 1936 Anouilh aveva lavorato anche per il cinema, da solo o in collaborazione; ricordiamo: Les dégourdis de la onzième (1936), Vous n'avez rien à déclarere (1937), Cavalcade d'amour (1939), Les otages (1939), Monsieur Vincent (1947), Anna Karenina (1948), Pattes blanches (1949), Caroline Chérie (1951), Le chevalier de la nuit (1953), La mort de Belle (1961) – un racconto di Simenon diretto da Edouard Molinaro – e La ronde (1964), diretto da Roger Vadim. Con Le scénario (1976), mosse un severo attacco al mondo del cinema.

Anouilh morì a Losanna il 3 ottobre del 1987, lasciando la seconda moglie Nicole Lançon, sposata nel 1953 dopo il divorzio dalla prima moglie, e quattro figli (Catherine Anouilh è divenuta una brava attrice teatrale).


Uomo misantropo e riservato sino alla reclusione volontaria, si mosse a metà tra i sogni e il rea­lismo, rappresentando uomini e donne "ribelli", individui tormentati e conflittuali ma coraggiosi che devono scegliere tra il Bene e il Male, tra l'Angelo e il Demonio, spesso costretti al fallimento e alla perdita della vita ma forti nella difesa dei loro ideali e della loro dignità umana (aveva scritto tra l'altro: «Fino al giorno della sua morte, nessun uomo può essere sicuro del suo coraggio... Per ciascuno di noi v'è un giorno, più o meno triste, più o meno lontano, in cui si deve infine accettare di essere uomo.»). ("Persinsala.it", 23 giugno 2010)

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