giovedì 22 marzo 2012

Karl Malden, grande comprimario ma attore completo e versatile



Karl Malden


Il 22 marzo del 1912, cento anni addietro, nasceva a Chicago Karl Malden, indimenticabile attore del grande cinema di Hollywood, potente personalità e premio Oscar nel 1951 per la sofferta interpretazione di Harold Mitchell ("Mitch"), il migliore amico di Stanley Kowalski e il timido corteggiatore di Blanche DuBois in Un tram che si chiama Desiderio (tratto dal dramma teatrale di Tennessee Williams, che Karl Malden aveva interpretato a Broadway nel 1947 insieme a Marlon Brando, Jessica Tandy e Kim Hunter). Si era formato nell'Actor's Studio ed appartenne a una generazione di grandissimi e sensibili attori statunitensi.

Per quasi settant'anni, in più di 50 pellicole, con il suo caratteristico e indelebile volto maschio e volitivo, acuto e vivace, ma reso ineguale da un naso bozzoluto e storto (a causa di un trauma sportivo giovanile) – fece parlare di «aspetto sgraziato da orso» (ma esageravano: era in realtà un bell'uomo dotato di un suo segreto fascino – ha riempito di sé in modo memorabile i tanti film nei quali spesso non fu il protagonista ma un comprimario di lusso (egli stesso ammise nel 2004, in un'intervista, di essere un caratterista, ma il migliore che ci fosse in giro).

Per metà di origine serba (il padre era un operaio, poi lattaio, con la passione per la musica e la drammaturgia serba) e per metà di origine ceca (la madre era sarta con ambizioni di attrice), nato Mladen George Sekulovich, era il più grande di tre fratelli e crebbe a Gary (Indiana), una cittadina metallurgica, ove si era trasferito all'età di cinque anni. Si diplomò all'Emerson High School nel 1931.

Cambiò il suo nome all'età di 22 anni, prendendo lo pseudonimo di Karl Malden, ma rimase sempre affezionatissimo al suo cognome Sekulovich. Nel 1937 si laureò al "Chicago Art Institute" e in quel periodo frequentò il "Goodman Theater" in Chicago. Nello stesso 1937 debuttò come attore a Broadway; fu poi a New York, ove lavorò con il "Group Theatre" e ove ebbe modo di conoscere un giovane Elia Kazan, col quale lavorerà in seguito e col cui destino s'intrecciò più volte il suo destino di attore eccellente.

Ebbe una formazione teatrale perfetta, affrontando i grandi testi della drammaturgia europea ed americana; esordì a Broadway con Golden boy di Clifford Odets (1937), proseguì con How to Get Tough About It (1938) di Robert Ardrey; The Gentle People (1939), Sons and Soldiers (1943) e The assassin di Irwin Shaw (1945); Key Largo (1939) e Truckline Cafe (1946) di Maxwell Anderson; Flight to the West (1940) di Elmer L. Rice; Uncle Harry di Thomas Job (1942); All my sons di Arthur Miller (1947), riportando un grande successo personale; con il già ricordato A streetcar named desire di Tennessee Williams (1947); Peer Gynt di HenriK Ibsen (1951); Desire under the elms di Eugene O'Neill (1952); Tea and Sympathy (1953) di Robert Anderson; e The desperate hours di Joseph Hayes (1955).  

Già attore d'esperienza, completò il suo apprendistato d'interprete di qualità, facendosi le ossa con Lee Strasberg presso l'Actor's Studio e ritagliandosi il ruolo del duro e spietato, dell'integro e intransigente. Nel suo articolo “Karl Malden: quando si dice "finisce un'epoca" – Con la morte di Karl Malden finisce l'era dell'Actor's Studio”, ha scritto Pino Farinotti: «Con Karl Malden davvero finisce un'epoca, precisa, storicizzata, quella dell'Actor's Studio. L'attore faceva parte proprio del primo gruppo, quello dei Clift, Brando, Newman, Dean, Steiger, Franciosa. Furono quelli che cambiarono il cinema. Non più happy end istituzionale, a volte innaturale, ma temi reali drammatici e dolorosi, insomma non più il sogno ma la vita. […] Malden è stato un attore “totale”, significa buono per tutti i ruoli, semplicemente perché non era un divo, non ne aveva il corpo e il volto, non ne aveva l'appeal. Era soltanto bravo. […] Nel Tram che si chiama desiderio Karl è la persona perbene che corteggia educatamente Vivien Leigh che però poi "si fa" violentare da Brando. Sul fronte diverso, Karl è bravo come Marlon tanto che riceve l'Oscar (come non protagonista) mentre il divo deve accontentarsi della nomination. […]. Dunque non una, ma tante epoche, finite con lui.» (http:// www.mymovies.it/cinemanews/2009/11611/)

Nel cinema, dopo il suo esordio in Non desiderare la donna d'altri (They Knew What They Wanted) (1940) di Garson Kanin, ha partecipato ad alcuni dei film–emblema di Hollywood.

Da ricordare soprattutto del grande Elia Kazan, il già menzionato Un tram che si chiama Desiderio (A Streetcar Named Desire) (1951), tratto dall'omonimo dramma di Tennessee Williams, che narra la storia tragica di Blanche DuBois, travolta dal suicidio del marito, segnata da fragilità di carattere e inquietudine sessuale, che ostenta cultura e modi raffinati, ospitata a New Orleans in casa della sorella Stella, sposata col ribelle e volgare ma sessualmente affascinante Stanley Kovalski (aspetta un bambino da lui). Blanche tenta di farsi sposare da un maturo corteggiatore, Harold Mitchell (che è appunto uno stupefacente Karl Malden, la cui prova d'attore non ha nulla da invidiare a quella di Brando), ma si sente anche attratta in modo fatale dal cognato, che la disprezza e che – quando la moglie viene ricoverata in ospedale per il parto – la umilia, violentandola. Dilaniata dai fantasmi del passato e del presente, Blanche scivola nella follia e, per volere di Kovalski, viene ricoverata in manicomio. Ne il Morandini (Zanichelli editore), Laura, Luisa e Morando Morandini scrivono: «Kazan usa la cinepresa come un microscopio che penetra nella psicologia dei personaggi, punta sulla crudeltà del linguaggio nell'esibizione dei corpi, del sudore o dell'odore, scarta una scelta naturalistica nella scenografia, si affida alla violenza della parola per suggerire le pulsioni di morte che dominano il testo.». La critica scrisse che le interpretazione di tutti gli attori «sono eccelse ed è difficile immaginare una migliore amalgama di cinema e di teatro. Quel barocchismo esagerato conferito da Tennessee Williams al dramma diventò il marchio stilistico dei film successivi di Elia Kazan.» (in “Elia Kazan”, Il Cinema – Grande storia illustrata, Ist. Geografico De Agostini, Novara, 1981).

Seguì l'altro grande e controverso capolavoro di Elia Kazan, Fronte del porto (On the Waterfront) (1954), tratto dal romanzo di Budd Schulberg (autore anche della sceneggiatura) e da alcuni articoli di Malcolm Johnson. Malden è Padre Barry, l'eroe buono, un prete antagonista di Terry Malloy (interpretato da Marlon Brando), scaricatore di porto ed ex pugile che avrebbe voluto diventare qualcuno («Ma non è questo; è questione di classe! Potevo diventare un campione. Potevo diventare qualcuno, invece di niente, come sono adesso.»), il ragazzo sbandato a causa del fratello Charley, un pezzo grosso di una gang che controlla il sindacato dei lavoratori del porto di New York (interpretato da un grandissimo Rod Steiger). Grazie a Padre Barry e alla timida e seria ragazza che lo ama, Edie Doyle (interpretata mirabilmente da Eva Marie Saint), Terry si redime e dopo una sofferta crisi di coscienza testimonierà contro la corruzione criminale del porto. Hanno scritto i Morandini: «Film nero – girato per intero a New York, quasi sempre in esterni – con forti implicazioni sociali, sottintesi etici, risvolti politici e accensioni melodrammatiche, è il trionfo dell'ambiguità di Kazan che, come Schulberg, aveva molti conti da regolare con i comunisti e li regola, imbrogliando le carte. È anche il trionfo di uno stile di recitazione, quello del Metodo, cioè dell'Actors' Studio. Brando memorabile come il bianconero di Boris Kaufman. 7 Oscar (film, regia, sceneggiatura, fotografia, scenografia, Brando, Saint, montaggio) e un Leone d'argento a Venezia.». A proposito della lettura controversa di questo superbo film, a causa delle opinioni politiche di Elia Kazan, è stato scritto: «In quello stesso periodo venne chiamato a deporre davanti alla Commissione d'indagine sulle attività antiamericane, e la sua testimonianza a sfavore di alcuni colleghi fece sì che essi, inevitabilmente, lo rinnegassero. Molti ritennero che la grandezza del suo Fronte del porto fosse inquinata dalla difesa che in esso si fa degli informatori. […] Gli attori sono tutti eccellenti e il risultato è un inimitabile realismo privo di tinte fosche, superiore a ogni precedente risultato artistico raggiunto da Kazan. Il film fece incetta di Oscar e il personaggio di Brando divenne uno dei simboli degli Anni Cinquanta, il prototipo dell'eroe alienato delle opere di Kazan.» (in “Elia Kazan”, Il Cinema – Grande storia illustrata, Ist. Geografico De Agostini, Novara, 1981)

Sempre di Elia Kazan, seguì Baby Doll - La bambola viva (Baby Doll) (1956), tratto dai due atti unici di Tennessee Williams (che fu anche lo sceneggiatore) The long Stay Cut Short e 27 Wagons Full of Cotton. Il dramma ambiguo e sensuale è ambientato in un paesetto del profondo Sud, sul Mississippi, un Sud sfatto e decadente. Malden è il maturo possidente Archie Lee Meighan, proprietario di un'azienda sull'orlo del fallimento, che ha sposato una giovanissima chiamata Baby Doll (interpretata dalla venticinquenne Carroll Baker), lascivamente ingenua, dall'esasperata sensualità, “giovane gatta pigra e perversa, innocente ed egoista, fatta apposta per far impazzire il maschio indifeso” (avvolta in una camiciola trasparente, che dal film ha preso il nome), annoiata e insoddisfatta, che si nega al marito tenendolo alla larga. E il frustrato Archie si comporta come un erotomane, spiando da un buco da lui praticato sulla parete la moglie adolescente, vera “bambola di carne”, puro oggetto erotico del desiderio. Il marito non coglierà il frutto del suo amore ossessivo; infatti, Baby Doll si concederà a un italiano, vicino e concorrente di Archie (interpretato da Eli Wallach). Archie tenterà di vendicarsi ma finirà in prigione. Morando Morandini lo ha definito «un film falso come una patacca diretto da un regista di talento» mentre altri hanno scritto: «Kazan utilizza la materia drammatica del racconto conducendo la narrazione contemporaneamente sul doppio binario burlesco e ironico – un po' alla Caldwell – e sfruttando a fondo l'ambiente e i personaggi nei loro reciproci e interdipendenti rapporti, con un'ambiguità di toni generalmente in bilico sul grottesco, una voluta provocazione nelle situazioni, un contorno di sottofondi simbolici […]» (in “Elia Kazan”, Il Cinema – Grande storia illustrata, Ist. Geografico De Agostini, Novara, 1981).

Seguirono: di Alfred Hitchcock, Io confesso (I Confess) (1953) – Malden era l'inflessibile ispettore di polizia, antagonista di un tormentato prete interpretato da Montgomery Clift –; di Robert Mulligan, Prigioniero della paura (Fear Strikes Out) (1957) e Il grande impostore (The Great Impostor) (1961); di Delmer Daves, L'albero degli impiccati (The Hanging Tree) – Malden è il comprimario di Gary Cooper, un superbo ubriacone violento che tenta di violentare Maria Shell e che viene ucciso come un cane da Cooper –; di Marlon Brando, I due volti della vendetta (OneEyed Jacks) (1961) – Malden dopo una rapina diventa sceriffo e abbandona l'amico, Brando, che lo ritrova e si vendica –; di Delmer Daves, Vento caldo (Parrish) (1961); di Mervyn LeRoy, La donna che inventò lo strip-tease (Gypsy) (1962) – Malden interpretava Herbie –; di John Frankenheimer, E il vento disperse la nebbia (All Fall Down) e L'uomo di Alcatraz (Birdman of Alcatraz) (1962) – era la guardia penitenziaria –; di John Ford (insieme a Henry Hathaway), La conquista del West (How the West Was Won) (1964) – era il pioniere patriarca Zebulon Prescott – e Il grande sentiero (Cheyenne Autumn) (1964); di Ken Russell, Il cervello da un miliardo di dollari (Billion Dollar Brain) (1967); di Franklin J. Schaffnerm Patton, generale d'acciaio (Patton) (1970) – Malden interpretava il capo di stato maggiore, il generale Omar Bradley, superiore di Patton, diplomatico e mirabilmente carismatico –; di Blake Edwards, Uomini selvaggi (Wild Rovers) (1971); e di Martin Ritt, Pazza (Nuts) (1987) con una superba Barbra Steusand, l'ultimo suo film.

Nel 1971 partecipò al capolavoro Il gatto a nove code di Dario Argento (Sergio Graziani gli prestava la sua voce): era l'enigmista cieco che riesce a risolvere l'enigma delittuoso. Di lui, disse Argento: «attore di grande grazia ed eleganza». Hanno scritto Laura, Luisa e Morando Morandini di questo film, che si avvalse della carismatica presenza di Malden: «Molti difetti nella struttura narrativa, ma la contrapposizione tra l'occhio abnorme dell'assassino e la cecità dell'investigatore e la lunga sequenza del cimitero sono le testimonianze di un talento onirico–nevrotico» (il Morandini – Zanichelli editore).

Lo hanno doppiato nei suoi film tutte le più belle voci italiane, tra le quali quelle di Giorgio Capecchi, Mario Pisu, Carlo Romano, Vittorio di Prima, Stefano Sibaldi, Nino Pavese, Gualtiero De Angelis, Nando Gazzolo, Pino Locchi ed Emilio Cigoli.

Nel 1957 Malden si cimentò da regista nell'unico lungometraggio, girando Il fronte del silenzio (Time Limit), un film forte e coraggioso, con Richard Widmark, Richard Basehart (nominato nel 1958 ai BAFTA come miglior attore non protagonista) e Martin Balsam, tratto da un dramma di Henry Denker e Ralph Berkey (Malden si ritagliò un piccolo cameo nel ruolo di un prigioniero). Racconta il drammatico processo del maggiore Harry Cargill, accusato di alto tradimento; rischia la corte marziale per aver collaborato con il nemico durante la guerra di Corea: dopo la cattura della sua unità, durante la prigionia, aveva rivelato informazioni militari segrete. Sarà difeso dal colonnello William Edwards, che riuscirà a dimostrare le pressioni subite e lo scopo vero del comportamento del maggiore che vedeva il coinvolgimento della morte di un soldato nel campo di concentramento. Hanno scritto Laura, Luisa e Morando Morandini di questo film, (il Morandini – Zanichelli editore): «Il caso di un maggiore americano che, fatto prigioniero dai rossi durante la guerra di Corea, divenne collaborazionista prestandosi alla propaganda ideologica e politica del nemico. Rimpatriato, viene processato per alto tradimento. Tratto da un dramma (1956) di Henry Denker e Ralph Berkey, mantiene inalterata la struttura teatrale d'origine riuscendo così pesantemente verboso. Film di propaganda anticomunista? In parte, ma originale, insolito. Unica regia dell'attore Malden. Peccato.».

Dagli anni '70, come molti attori nel declino della loro attività cinematografica, si rivolse alla televisione. Per il piccolo schermo girò diversi film televisivi ma fu soprattutto il grande eroe protagonista, il tenente Mike Stone della squadra omicidi, nella serie Le strade di San Francisco, trasmessa dalla rete ABC. Si svolse tra il 1972 e il 1977, per 120 episodi, e coinvolse l'esordiente Michael Douglas nel ruolo dell'ispettore Steve Keller (il vecchio poliziotto possedeva l'esperienza ma il giovane, trattato come il surrogato di un figlio, possedeva l'istinto). Sul "The Times", Douglas rivelò di considerare Malden «a mentor» e di amarlo e ammirarlo profondamente. Questa serie, un classico poliziesco, era basata sul libro di Carolyn Weston "Poor, Poor Ophelia" e privilegiava le location, tanto reali e attendibili che la città stessa di San Francisco poteva essere considerata una co–star. Nel 1992, ottantenne, ritornò all'amore dei suoi milioni di fan con Le strade di San Francisco: Mike Stone ritorna (Back to the Streets of San Francisco):  Stone era stato promosso ed era affiancato da due giovani ispettori (Michael Douglas era diventato troppo importante per partecipare a questo sequel). Per questo suo ruolo, Malden ebbe cinque nomination consecutive agli Emmy Awards. Vinse un solo Emmy per la sua superba interpretazione di un uomo che sospetta che la figlia possa essere stata uccisa dal marito nella miniserie del 1984, tratta da un fatto reale, Fatal Vision. L'ultima comparsa televisiva di Karl Malden risale al 2000 nel 1° episodio di West Wing – Tutti gli uomini del Presidente (The West Wing), intitolato "Take This Sabbath Day", nel quale Malden ritornava dopo moltissimi anni al ruolo del prete cattolico (in modo scaramantico, usò la stessa bibbia che aveva adoperato in Fronte del porto).

La bravura e la spontaneità di Karl Malden furono  tali che la critica parlò di «a regular guy, not a Hollywood actor», di «relatable ordinary men» e di «un Everyman», icona dell'ordinario uomo qualunque (definizione del critico cinematografico del "Times" Charles Champlin). Per questo suo modo di apparire, divenne il testimonial ben retribuito per gli American Express Travelers Cheques dal 1973 e per più di 20 anni; famosa la sua frase nello spot: «Don't leave home without them»; in seguito, reclamizzò l'American Express Card lanciando la nuova mitica frase: «Do you know me?».

Uomo serio e dedito alla famiglia, visse sino alla sua morte con la moglie Mona Greenberg (un'attrice conosciuta al "Goodman's Children's Theater" e sposata nel lontano 18 dicembre 1938): il loro longevo matrimonio durò più di settanta anni. Ebbero due figlie, Carla e Mila, e Carla lo aiutò nello scrivere la sua autobiografia: When Do I Start? A memory (Limelight Editions, 2004).

Karl Malden è morto a Los Angeles alla veneranda età di 97 anni, il 1º luglio del 2009. è stato seppellito presso il Westwood Village Memorial Park Cemetery, a Westwood in California.

Nel corso della sua lunga carriera si è aggiudicato L'Oscar nel 1952, una nomination all'Oscar nel 1954, un Emmy Award e due nomination al Golden Globe. Dal 1988 al 1992 fu presidente dell'Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, che assegna gli Oscar.


Eva Marie Saint, che nel 1954 aveva lavorato con lui in Fronte del porto e che era divenuta una sua grande amica, in occasione della sua morte, disse di lui al "The Times" che era «un attore consumato», che non era mai cambiato e che, guardando al suo lavoro, non aveva mai sbagliato o fatto un passo falso (riportato da Dennis McLellan il 2 luglio del 2009 nel suo Obituaries, sul "Los Angeles Times"). Queste parole sono senz'altro condivisibili da parte di tutti coloro che amano il grande cinema e i grandi attori di Hollywood.



Nessun commento:

Posta un commento