mercoledì 16 maggio 2012

Leo Rosten, cultura Yiddish e Hyman Kaplan


Leo C. Rosten


Quindici anni addietro, il 19 febbraio del 1997, moriva a New York Leo C. Rosten (inizialmente usò lo pseudonimo Leonard Q. Ross), un autore che ha trovato ispirazione e fonte di narrazione nel  mondo Yiddish. Fu giornalista, glottologo, accademico, sceneggiatore e scrittore umoristico. Leo Rosten ha insegnato, in tempi di multiculturalismo, l’importanza di percepire e accettare le svariate differenze linguistiche, al fine di rendere la cultura sempre più ricca e interessante.

Nato a Lodz, in Polonia, l’11 aprile del 1908, in età infantile emigrò con i genitori a Chicago, ove compì tutti i suoi studi sino alla laurea in Sociologia nel 1930 e al dottorato nel 1937, divenendo poi naturalizzato americano.

Lavorò come sceneggiatore (scrisse in totale sei sceneggiature) e nel 1941 scrisse un saggio sociologico (quasi un racconto) sull’industria del cinema: Hollywood: La colonia del cinema, i creatori del cinema (Hollywood: The Movie Colony, The Movie Makers). Nel 1946 Rosten fornì il soggetto per il noto Il grattacielo tragico (The Dark Corner) di Henry Hathaway, sceneggiato da Jay Dratler. Il film poliziesco racconta le tristi vicende di Brad Galt (interpretato da Mark Stevens), un ex detective privato che, finito ingiustamente in prigione, dopo aver scontato la pena, solo e sostenuto soltanto dalla fedele fatta Kathleen (interpretata da Lucille Ball, la segretaria innamorata segretamente di lui) va a New York. Il precedente socio di Galt, Anthony Jardine (interpretato da Kurt Kreuger) si associa alla ricca Mary Cathcart ma il marito di quest'ultima, Hardy Cathcart (interpretato dal grande Clifton Webb, che ben ha saputo disegnare i contorni di un collezionista d'arte assolutamente privo di scrupoli) trama un complotto per ucciderlo e per far ricadere la colpa su Galt. Sarà soltanto grazie a Kathleen e al suo sostegno amoroso che Brad riuscirà a sciogliere la turpe ragnatela, dimostrando la sua innocenza. Hanno così commentato Laura, Luisa e Morando Morandini (ne il Morandini – Zanichelli editore): «Dramma svelto, efficace ed eccitante con una Ball insolita. Hathaway era nel suo periodo realistico.».

Nel 1949, come propagandista di guerra, Leo Rosten entrò nello staff del periodico newyorchese “Look”, lavorandovi sino al 1971. Insegnò in diverse Università, tra le quali la Columbia University (NY), la Yale University e la Berkeley (CA). Nel 1935 aveva sposato Priscilla Ann Mead (sorella della nota antropologa Margaret Mead), dalla quale ebbe i tre figli Madeline, Margaret e Philip. Dopo il divorzio, nel 1960, sposò Gertrude Zimi.

Fine umorista, divenne famoso grazie ai suoi bestseller che celebravano cultura, spirito e lingua yiddish. Incentrò i suoi divertenti racconti sul personaggio dello studente Hyman Kaplan, riuniti in L’educazione di H*Y*M*A*N K*A*P*L*A*N (alcuni racconti erano comparsi nel 1930 sul “The New Yorker”). In modo spiritoso e autobiografico – per pagare i suoi studi, Rosten aveva insegnato in classi notturne di Inglese per immigrati – l’autore narra in una frizzante esplosione di giochi di parole, di strafalcioni sintattici e di distorsioni ortografiche le comiche vicende di un primitivo ragazzo russo emigrato in America e dei suoi vani sforzi per imparare la lingua inglese in una Scuola Preparatoria Notturna di Inglese. Hyman è un vero e proprio alter ego di Leo Rosten, col quale condivideva una vigorosa personalità e una smisurata indipendenza dell'ego. Kaplan è un allievo diligente ed entusiasta: il «prodigio» della classe ma assolutamente negato per la comprensione della lingua inglese, individuo semplice alle prese con un mondo sconosciuto e incomprensibile, convinto che il plurale di «sandwich» sia «delicatessen», quello di «cat» sia «katz» e quello di «dog» sia «dogies». L’insegnante Mr. Parkhill è un uomo solitario e severo ma con tratti tragici, afflitto dal timore di dovere sprecare il resto della sua vita con Hyman e con gli altri suoi tremendi alunni. Mr. Parkhill ha tra i suoi allievi Miss Carmen Caravello, un’italiana sempre pronta a esaltare Giuseppe Garibaldi, che mostra nei suoi confronti un totale e umiliante disaccordo. Hyman suole firmare i suoi compiti in classe con delle lettere maiuscole, scritte con un pastello rosso e sottolineate in blu, separate da una stellina verde. Nell’ultimo racconto, finalmente, il ragazzo si firma semplicemente “Hyman Kaplan” ma non può evitare d'indirizzare il suo lavoro scolastico a “Mr. P*A*R*K*H*I*L*L”, così gratificando l’afflitto docente. Il romanzo fu benedetto dal successo del pubblico e della critica; fu recensito favorevolmente dalla scrittrice irlandese Rebecca West e dall’ironico scrittore inglese Evelyn Arthur Waugh; e divenne nell’ambiente letterario di New York fu un vero e proprio “cult”.

Seguirono ma con minore fortuna altri due romanzi che raccontavano le vicende comiche e sconcertanti del medesimo protagonista: Il ritorno di H*Y*M*A*N K*A*P*L*A*N (The return of HYMAN KAPLAN) (1959), e O K*A*P*L*A*N! Mio K*A*P*L*A*N! (O KAPLAN! My KAPLAN!) (1976); quei suoi libri sul mondo yiddish e quei suoi racconti seriali riuscirono a catturare l’interesse di milioni di lettori e a suscitare il costante entusiasmo dei critici.

Nel 1955 raccolse molti suoi articoli giornalistici nel volume Una guida alle religioni d’America (A Guide to the Religions of America).

Nel 1963, da un suo racconto ispirato da un militare realmente esistito, è stato tratto il film Capitan Newman (Captain Newman, M.D.) di David Miller – il regista del più noto thriller con Doris Day “Merletto di mezzanotte” – con Gregory Peck (è lo psichiatra militare Josiah J. Newman), Tony Curtis (interpreta il caporale–infermiere Jackson “Jake” Leibowitz, dotato di forte senso di solidarietà umana) e Angie Dickson (interpreta il tenente Francie Corum, bella e comprensiva). In una materia difficile (la cura – spesso contro il parere delle autorità militari – presso un reparto di psichiatra militare dei reduci della II guerra mondiale sofferenti di malattie nervose) viene affrontata puntando sui molti aspetti comici della situazione. Hanno commentato i Morandini: «Da un romanzo di Leo Rosten. Il capitano Newman, psichiatra di una base nelle Hawaii, deve curare i reduci di guerra colpiti da nevrosi. Combattuto tra responsabilità di medico e dovere militare, il suo è un continuo scontro con i superiori. Ora drammatico, ora comico, sembra fatto apposta per tenere su il morale dei pazienti. G. Peck è “uno dei più idealizzati psichiatri cinematografici mai visti” (G.O. e K. Gabbard) e T. Curtis, infermiere, si riserva la parte del buffone. Candidature all'Oscar per la sceneggiatura e B. Darin, attore non protagonista.». Bobby Darin, di origini italo–americane, interpreta il caporale Jim Tompkins che ha subito il trauma della perdita di un compagno per lo scoppio di una bomba e che teme di essere un codardo: egli cerca di annullare le sue sofferenze nell'abuso di alcol e droghe. Altra grande prova quella di un giovanissimo Robert Duvall, che è il capitano Paul Cabot Winston, reso un essere inconsapevole e catatonico dalla psicosi. Il film ha il merito di far emergere sullo sfondo dell'impegno militare la vulnerabilità di sentimenti di quegli uomini esposti agli orrori della guerra.

Nel 1968 Rosten scrisse un ponderoso dizionario satirico dal titolo Le gioie dell’Yiddish (The Joys of Yiddish) ripubblicato in edizione rivisitata nel 1989 in cui elencava dalla A alla Z numerose parole yiddish, spaziando dal sacro al profano e analizzandone l’etimologia ebraica: il tutto in un esilarante contesto di storielline ironiche e di caricature umoristiche che avevano come oggetto l’ebreo europeo, ma sapendo usare sempre la giusta misura. Leo Rosten scrisse: «Il sarcasmo è amarezza messa a fuoco».

Nel volume Le persone che ho amato, conosciuto o ammirato (People I Have Loved, Known or Admired) (1970), ha raccolto diversi articoli che spaziavano da suo padre a Montaigne, a Leonardo da Vinci, a Winston Churchill e a Sigmund Freud. Nel 1977 scrisse il grosso volume Il tesoro delle citazioni ebraiche di Leo Rosten (Leo Rosten’s Treasury of Jewish Quotations), denso di notazioni umoristiche che hanno fatto il giro del mondo. Del 1982 è Urrà per l’Yiddish! Un libro sull’Inglese (Hurray for Yiddish! A Book about English), in cui ha valutato nel suo solito modo umoristico l’influenza sul lessico Inglese-americano della lingua yiddish, dal vocabolario limitato ma dalle immense capacità espressive.  

In Carnevale di sapienza di Leo Rosten. Da Aristotele a Woody Allen (Leo Rosten’s Carnival of Wit: From Aristotele to Woody Allen) (1994), fece una divertentissima raccolta di tutta una serie di osservazioni piene di ebraico humour e di aforismi ricchi di senso comune e verità: «Ho imparato che sono i deboli a essere crudeli, e che la bontà possiamo aspettarcela soltanto dai forti… Se stai facendo qualcosa di male, almeno divertiti… Di certo le parole dovrebbero essere considerate tra i più potenti farmaci inventati dall’uomo… Molti di noi non crescono o maturano, diventano semplicemente più alti».

Nel 1999 la Mondadori ha pubblicato: Oy oy oy! – Umorismo e sapienza nel mondo perduto dello Yiddish.


Il noto musicista Moni Ovadia, interprete della cultura ebraica, in una sua intervista ha confessato di considerarsi un allievo di Rosten e di essere desideroso di continuare la sua opera di sagace rappresentazione del mondo Yiddish.

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