mercoledì 11 luglio 2012

Anna Karenina: Stiva e Dolly, la coppia convenzionale


Anna Karenina (miniserie TV 1974)  Marina Dolfin (Dolly)     Mario Valgoj (Stiva)


Nel grande romanzo Anna Karenina di L.N. Tolstoj, scritto tra il 1875 e il 1877, accanto alle due coppie infelici costituite da Anna–Aleksej Aleksandrovic e da Vronskij–Anna, troviamo altre due coppie unite da forti legami interiori, che rappresentano i due prototipi ideali di due diverse forme di matrimoni, quella di Stiva e Dolly e quella di Levin e Kitty.

La prima coppia, costituita dal fratello di Anna, l’ufficiale civile Stepan Arkad'ič Oblonskij (detto Stiva), e da Darja Aleksandrovna (detta Dolly), è meno importante e dominata dalla superficialità e dai tradimenti del marito (uomo infedele, oltre che cattivo amministratore delle finanze familiari), contrapposti all’infelicità di lei, abbattuta dall’umiliazione e appassita nelle cure quotidiane della casa e nelle preoccupazioni per i figli. I due vivono il loro matrimonio nella falsità del compromesso e all’interno delle più viete convenzioni. Scrive Tolstoj: «Quando nella vita di famiglia non c’è né un accordo né un dissidio completo, le cose non possono andare spedite. Si vedono famiglie rimanere per anni in luoghi dove stanno malvolentieri soltanto perché il prendere una decisione susciterebbe discussioni spiacevoli.».

Stiva si accorge che la moglie invecchia mentre egli è ancora pieno di vita: «[…] non era più innamorato di sua moglie, madre di cinque figli viventi e di due morti, e di un anno appena più giovane di lui […] ma s’immaginava in modo confuso che la moglie da un pezzo avesse indovinato tutto e non se la prendesse troppo delle sue infedeltà. Anzi gli pareva che lei, sciupata, invecchiata, non più bella, senza nessuna attrattiva particolare, semplicemente una buona madre di famiglia, dovesse, per un certo senso di giustizia, mostrarsi indulgente. E invece era accaduto proprio il contrario.».

Dolly ha capito che l’amore è finito e che tra loro due non esiste più nulla, e confessa alla comprensiva Anna venuta da Pietroburgo a Mosca per ricomporre il dissidio coniugale: «E il peggio è, capisci, che io non posso lasciarlo: sono legata a lui dai bambini. E soltanto non posso vivere con lui: vederlo mi è una tortura […] Io non stimo mio marito; mi è necessario e lo tollero […]». Con mestizia lo perdona, anche se non può più amarlo. Dolly non giudica Anna: «Come molte donne di una ineccepibile morale, essa, da lontano, scusava l’amore colpevole e quasi l’invidiava […]». In cuor suo ritiene che Anna ha fatto bene a lasciare un marito che non ama per vivere felice con l’uomo che ama, mentre lei deve sopportare una vita di avvilimento perché il suo carattere e la sua educazione le impediscono una scelta diversa («Aveva la coscienza che tra lei e Anna c’era un abisso»).

è interessante un brano del romanzo, nel quale Dolly tenta di spiegare a un offeso Levin perché Kitty (la giovane sorella) in un primo tempo lo ha respinto, ingannata e confusa dalla corte di Vronskij. Esso descrive bene la condizione delle fanciulle dell’Ottocento, che è rimasta tale però anche sino ai primi decenni del 20° secolo: « – Sì, ora ho capito tutto – continuò Darja Aleksandrovna – Voi non lo potete capire: voialtri siete liberi di scegliere e sapete sempre chiaramente chi amate. Ma una ragazza aspetta col suo pudore di donna, di vergine; una ragazza vede voialtri uomini da lontano, crede tutto sulla parola, e spesso non sa che cosa dire, che cosa pensare […] voi uomini avete delle vedute su di una ragazza, andate in casa, entrate in intimità, osservate, aspettate per vedere se vi piace davvero, e poi, quando siete convinti di amarla, fate la vostra domanda […] Fate la vostra domanda quando il vostro amore è maturo o quando avete pesato tutte le qualità di due persone e sapete quale dovete scegliere. Ma una ragazza non può scegliere: può dire soltanto sì o no […] Nel momento che voi facevate la vostra proposta essa era proprio in quella situazione nella quale non poteva rispondere. Era indecisa: voi o Vronskij. Lui lo vedeva tutti i giorni, voi non vi vedeva da un pezzo […] – Vi dirò soltanto una cosa ancora […] Io non dico che lei vi amava, ma voglio dire che il suo rifiuto, in quel momento, non significa nulla.» (brani tratti da Anna Karenina, nella traduzione di Enrichetta Carafa D’Andria, Newton Compton Editori, Roma 1996).

Gli ultimi anni della vita di Tolstoj non furono, purtroppo, felici da un punto di vista coniugale: lo scrittore aveva scelto di divenire il profeta di una utopica comune socialista, e aveva rinunciato alla proprietà e ai titoli nobiliari. Si guastarono allora irrimediabilmente i rapporti e crebbe un divario insuperabile con la moglie che non seppe comprendere più le sue idee e i suoi comportamenti (tra i quali, la sua rinunzia ai diritti d’autore), e che lottava per il bene dei suoi figli (ne avevano tredici), per mantenere i suoi valori e per riavere la sua vita. Tolstoj cominciò allora a sentire il peso del vincolo matrimoniale, che gli appariva come una prigione dalla quale desiderava liberarsi (lo scrittore era nato lo stesso anno di Ibsen, e l’idea che il matrimonio non fosse altro che una vecchia istituzione in crisi serpeggiava ormai per tutta l’Europa). Alla fine dell’ottobre del 1910, a ottantadue anni, stanco e amareggiato, rabbioso e deluso, riuscì a realizzare la sua sognata fuga da casa, lontano da quella moglie oppressiva che amava/odiava e spinto anche dal sentimento eroico di abbandonare quei privilegi che aveva condannato per tutta la sua vita. Dopo appena dieci giorni moriva, però, nella fredda stazione di periferia di Astàpovo, stroncato dalla malattia e dall’abbandono (era il 7 novembre del 1910).

P.S. Come abbiamo già detto, sia il cinema sia la televisione hanno amato il tema narrativo e la tensione sentimentale di questo romanzo. Nel film di Julien Duvivier (1948) con Vivien Leigh (Anna) e Kieron Moore (Vronskij), Dolly era interpretata da Mary Kerridge e Stiva da Hugh Dempster. Hanno scritto i Morandini (il Morandini – Zanichelli editore, di Laura, Luisa e Morando Morandini): «In questa edizione britannica, prodotta da A. Korda, l'adattamento di Jean Anouilh lo riduce a “un vaudeville triste e noioso sino allo sbadiglio” (J. Borel). Vestita da Cecil Beaton, la Leigh appare a disagio mentre tra gli altri interpreti spicca Ralph Richardson nella parte di Karenin. Meraviglioso il bianconero di H. Alekan.».

Invece nel film di Bernard Rose (1997), con Sophie Marceau (Anna) e Sean Bean (Vronskij), Dolly era interpretata da Fiona Shaw e Stiva da Danny Huston. Hanno commentato i Morandini: «Illustrazione corretta, accademica, ben pettinata, senza impennate, nemmeno nei duetti tra Anna e Vronski, con la cinepresa di Rose, anche sceneggiatore, che tampina da vicino i suoi personaggi, alternando la dinamica dei piani–sequenza con primi e primissimi piani a uso della fruizione in TV o in DVD.».


Nella stupenda miniserie televisiva italiana del 1974 di Sandro Bolchi, con Lea Massari (Anna), Pino Colizzi (Vronskij) e uno straordinario Giancarlo Sbragia (Karenin), Dolly era la brava e sensibile Marina Dolfin e Stiva il vacuo e ironico Mario Valgoi.

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