sabato 14 luglio 2012

Anna Karenina: Levin e Kitty, la coppia affettuosa e solidale


Anna Karenina (miniserie TV 1974) 
Valeria Ciangottini (Kitty)         Sergio Fantoni (Levin)


La seconda coppia coprotagonista nel romanzo Anna Karenina di Lev N. Tolstoj è quella di Levin – uomo orgoglioso e geloso, amico d’infanzia di Stiva e proprietario entusiasta di una grande azienda agricola, un esperto di economia rurale e «un appassionato coltivatore della terra», convinto dell’utilità del lavoro nei campi – e Kitty, deliziosa e tranquilla ragazza dal carattere sincero e determinato.

Kitty è la sorella di Dolly, cognata di Anna Karenina e moglie dell’infedele Stiva, una ragazza graziosa e ragionevole che riceve una dichiarazione d'amore dal timido e serio Konstantin Levin, «un uomo superiore... tutto d’un pezzo». Kitty – che è corteggiata anche dal vacuo Aleksandr Vronskij, ricchissimo e seducente aiutante dell’imperatore con molte relazioni mondane – respinge, però, con dispiacere Levin che ne soffre grandemente. Anna e Vronskij si conoscono ed è subito colpo di fulmine. Durante un ballo dal quale Kitty – interessata a Vronskij – si aspetta molto, i due flirtano insieme e gettano nello sconforto la ragazza che si ammala, sia perché capisce di non essere amata, sia perché si vergogna di aver mal riposto la sua fiducia in un uomo indegno come Vronskij, umiliando con un rifiuto un uomo sensibile e degno come Levin.

Dopo il breve doloroso intermezzo con Vronskij, i due giovani si sposano e condividono tutto. Kitty si preoccupa di ciò che interessa Levin: «Essa sapeva che Levin aveva in campagna tutta un’attività che gli era cara: di quest’attività non capiva nulla e non voleva capirne, ma la riteneva molto importante […] lo amava perché lo capiva, perché sapeva tutto di lui e perché tutto ciò che stava a cuore a lui stava a cuore anche a lei […]». Levin, a sua volta, ama ciò che piace a Kitty: «La libertà! Che doveva farne della libertà? La felicità consisteva nell’amare, nel vivere dei pensieri, dei desideri di lei. Quella era la felicità. […] in quel momento capì che il cuore di lei era all’unisono col suo […] egli non sapeva più distinguere dove finiva lei, dove cominciava lui.». E questo avviene, nonostante i piccoli inevitabili litigi per motivi insignificanti (con le successive tenere riconciliazioni) e nonostante le meschine preoccupazioni quotidiane! Essi si amano di un amore autentico ed eterno: il vero grande amore e il legame indissolubile della vita coniugale sono per loro un insieme che prescinde dalla falsità del loro marcio ambiente aristocratico. Levin vive in uno stato di esaltazione e – come soggiogato da una forza esterna – non può vivere senza Kitty: «[…] sapeva che per lui tutte le ragazze si dividevano in due categorie: a una appartenevano tutte le ragazze di questo mondo, e queste ragazze avevano tutte le debolezze umane; all’altra categoria apparteneva soltanto lei e non aveva nessuna debolezza ed era superiore a ogni cosa terrena […] Egli non poteva sbagliarsi. C’era al mondo soltanto un essere capace di concentrare in sé tutta la vita, tutto l’universo per Levin.».

Molto romantica è la descrizione dell’incontro decisivo tra Levin e Kitty in casa di Stiva e Dolly (dopo un anno dal rifiuto di Kitty) e del loro riconoscersi innamorati: «Quando seppe che era là, provò a un tratto un tale piacere e insieme un tale timore che gli si mozzò il respiro e non riuscì a pronunziare le parole che voleva dire […] Come l’avrebbe trovata? Pensava […] era un’altra. Era spaventata, timida, e perciò più simpatica. Lo vide subito: l’aspettava […] Arrossì, impallidì, poi arrossì di nuovo, con le labbra che le tremavano. Egli, dopo aver salutato la padrona di casa, le si avvicinò, s’inchinò e si diedero la mano in silenzio […] Non c’era nulla di straordinario in quello che diceva, ma egli trovava un significato che non si poteva esprimere in parole in ogni sillaba, in ogni movimento delle labbra, negli occhi, nelle mani di lei, vi trovava una fiducia, una carezza che implorava il perdono, una promessa, una speranza, e l’amore del quale oramai non poteva più dubitare. Levin si sentiva come se gli fossero cresciute le ali […] Levin sapeva che lei stava ascoltando le sue parole e che le faceva piacere udirle. E soltanto quest’unica cosa lo interessava […] Si sentiva a un’altezza tale da fargli girare la testa, e là in basso, da qualche parte, lontano, stavano tutti quei buoni e bravi Karenin, Oblonskij e tutto il mondo […] Fra lei e Levin era cominciata una conversazione, ma non era neppure una conversazione, era qualcosa d’intimo, di misterioso che li avvicinava sempre più e li rendeva felici e insieme atterriti dinanzi all’ignoto nel quale entravano […] Egli vide soltanto quegli occhi chiari, sinceri, spaventati dallo stesso radioso amore che riempiva tutta l’anima di lei. Essa si fermò tanto vicino a lui che quasi lo toccava. Alzò le mani e gliele posò sulle spalle, dandosi tutta in quel gesto timido e pieno di gioia. Egli l’abbracciò e premette le labbra sulla sua bocca che cercava quel bacio.».

E quando Kitty resta incinta, la nascita di un figlio sembra a Levin un fatto straordinario ma anche «un avvenimento così misterioso che sfuggiva alle previsioni umane […] non poteva pensare senza terrore al momento che si avvicinava […]». Si sente quasi colpevole per le sofferenze di Kitty e nella fase finale del parto sembra quasi non poter più sopportare lo strazio cui è sottoposta la giovane moglie durante il lungo travaglio. Quando infine nasce il bambino, vivo e sano, e quando Kitty è ormai salva e libera dai patimenti, egli è finalmente felice!

Il romanzo non finisce, però, con il suicidio di Anna Karenina! C’e una Parte Ottava – quasi un epilogo morale – nel quale si narra la soluzione per via religiosa della grave crisi spirituale di Levin, personaggio autobiografico, così tormentato dalla necessità di conoscere la sua vera natura e i tanti “perché” della vita da giungere sin quasi sulla soglia del suicidio. Levin – che «si sentiva conficcare sempre più nella terra come un aratro» – comprende infine che deve custodire, come una vestale, il fuoco sacro della terra e del suo arcaico lavoro che molti nobili hanno abbandonato. Intuisce che deve iniziare a vivere non soltanto per sé ma anche per il bene comune e per Dio. Per dare un significato alla sua vita, s’impone una missione che consiste nella conoscenza del bene, nel recupero dei valori evangelici e nella realizzazione della legge morale che ogni uomo porta scritta in sé. (Brani tratti da Anna Karenina, nella traduzione di Enrichetta Carafa D’Andria, Newton Compton Editori, Roma 1996)

P.S. Nel film di Julien Duvivier (1948) con Vivien Leigh (Anna) e Kieron Moore (Vronskij), Kitty era interpretata da Sally Ann Howes e Levin da Niall MacGinnis. Invece nel film di Bernard Rose (1997), con Sophie Marceau (Anna) e Sean Bean (Vronskij), Kitty era Mia Kirshner e Levin il concreto e solido Alfred Molina.

Nella miniserie televisiva italiana del 1974 di Sandro Bolchi, con Lea Massari (Anna), Pino Colizzi (Vronskij) e uno straordinario Giancarlo Sbragia (Karenin), Kitty era interpretata dalla sensibile e fresca Valeria Ciangottini mentre Levin era un eccezionale Sergio Fantoni (i Morandini – ne il Morandini, Zanichelli editore – hanno scritto della sua interpretazione: «quest'ultimo in uno dei suoi personaggi più scavati: è il possidente di sentimenti democratici che sottintende lo stesso Tolstoj»).

2 commenti:

  1. complimenti a silvia iannello da un concittadino

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  2. Grazie per questo commento. Alcune pagine di Anna Karenina sono tra le cose più belle che io abbia mai letto. Mi chiedo se Lev Nikolaevich dipingesse. Alcune descrizioni di personaggi femminili e del paesaggio in cui sono inseriti sembrano quadri impressionisti. Grazie ancora a Silvia Iannello

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