Daniel Mann
Cento anni addietro, l'otto agosto del 1912,
nasceva a New York City Daniel
Mann (nato Daniel Chugerman, meglio conosciuto come Danny Mann), un grande
regista cinematografico e televisivo americano che – nonostante quattro o cinque film indimenticabili (che io ho amato
moltissimo) – oggi è ingiustamente trascurato e negletto.
Studiò alla
New York 's
Professional Children's School. Si perfezionò con Sanford Meisner al
Neighborhood Playhouse, divenendo il suo assistente, e fu tra i primi
insegnanti dell'Actors Studio, prima che Lee Strasberg ne divenisse il
direttore artistico
(http://www.cinekolossal.com/registi/m/manndaniel/).
Attore e regista teatrale a Broadway, sotto la sua direzione
Sidney Blackmer e Shirley Booth vinsero il Tony Award per il dramma da lui
diretto Come Back, Little Sheba (Torna
piccola Sheba), che divenne nel 1952 il bel film del suo debutto, grande e
intimo capolavoro benedetto da due grandissime interpretazioni, quella confusa
e dolente di Shirley Booth (che volle anche nel film) e quella malinconica e
struggente di Burt Lancaster: gli occhi di entrambi, tristi e velati, lasciano
intuire spazi illimitati di solitudine e di sofferenza. Basterebbe questo film
per decretarne la statura di autore indiscusso e indimenticabile! Il film è
tratto dalla pièce teatrale (1949) di William Motter Inge (1913-1973) – grande drammaturgo statunitense che
vinse nel 1953 il Premio Pulitzer per Picnic
e nel 1962 l'Oscar per la sceneggiatura del film Splendore nell'erba –
adattata da Ketti Frings. Scrivono i Morandini: «[…] sposato con una sciattona
maldestra, senza figli, ex alcolista nutre un morboso affetto per una ragazza e
rimane sconvolto quando lei si fa corteggiare da un giovanotto. La leggerezza
non è certamente una delle qualità di questo interno familiare che conta
soprattutto per l'interpretazione dell'esimia teatrante S. Booth, premiata con
l'Oscar.» (il Morandini, Zanichelli
editore). La trama è drammatica e sofferta: Doc Delaney è un maturo signore alcolizzato
e frustrato in crisi matrimoniale con la moglie Lola, che ha sposato molto
giovane interrompendo brillanti studi di medicina soltanto perché la credeva
incinta. Entrambi pensano con rimpianto alla piccola Sheba, la cagnolina che
avevano allevato insieme e che è scappata per non ritornare mai più. Decidono di
affittare una stanza della loro casa a una ragazza con lo scopo di trovarsi
meno soli e di sconfiggere la solitudine. Mary entra nel loro infelice e
soffocante ambiente familiare (arido specchio dell'anima e della sensibilità
dei protagonisti) portando una nuova dimenticata vitalità e mettendo in crisi Doc
che ne è subito conquistato. Molto ben rappresentato è il dramma dell'alcolismo
e dei suoi devastanti effetti, e piuttosto interessanti risultano gli
interventi dell'associazione Alcolisti anonimi nel supportare l'alcolizzato e i
suoi familiari.
Seguì Addio signora
Leslie (About Miss Leslie) (1954) con Shirley Booth e Robert Ryan, storia coinvolgente
di una cantante di night–club che grazie all'intervento di un suo cliente
facoltoso riesce a raccogliere il denaro sufficiente per aprire una pensione e
rendersi così indipendente.
Fu la volta di Piangerò
domani (I'll Cry Tomorrow) (1955), film drammatico musicale con Susan
Hayward, Richard Conte, Eddie Albert e Jo Van Fleet, storia amara tratta dalla
biografia di Lillian Roth, cantante–attrice
in voga negli anni Trenta, che conosce la gloria passando da un successo
all'altro e da un teatro all'altro, ma la sua vita sentimentale è una
catastrofe. Rimasta vedova, Lillian si abbandona all'alcol ma riuscirà a
riscattarsi in un nuovo amore. Nel 1956 il film ebbe 4 nomination (una delle
quali a Susan Hayward per la Migliore attrice protagonista) e un premio a Helen
Rose per i Migliori costumi in un film in bianco e nero. Con questa pellicola Susan
Hayward vinse al festival di Cannes il premio per la migliore interpretazione
femminile.
Uno dei più grandi successi di Daniel Mann fu La rosa tatuata (The Rose Tattoo)
(1956), film tratto da un soggetto di Tennessee Williams, sceneggiato dallo
stesso Williams con Anna Magnani (Serafina delle Rose). Per lei Williams aveva
scritto la pièce teatrale e Mann diresse a Broadway il dramma di Williams con
Maureen Stapleton (la Magnani rinunciò per le difficoltà di recitare in
inglese) nella parte dell'inconsolabile vedova italo–americana e con Eli Wallach in quella di Alvaro. Gli altri
interpreti del film erano Burt Lancaster (Alvaro Mangiacavallo) e Marisa Pavan
(Rosa Delle Rose). La storia è forte e appassionata. Serafina Delle Rose, di
origine siciliana, è la moglie innamorata di Rosario (un vigoroso camionista
che trasporta la droga col suo mezzo) e una brava sarta. Una donna bella e
sensuale, Estella Hohengarten (Virginia Grey), per dispregio, chiede a Serafina
di cucire per l'uomo che ama una camicia di seta rossa (Estella è l'amante del marito
ma Serafina ignora il tradimento). Rosario poi muore sul suo camion, coinvolto
in un incidente durante un inseguimento della polizia e Serafina si chiude in
un cupo dolore, trascurando se stessa e gli altri. Vorrebbe coinvolgere nel suo
lutto senza rimedio anche la figlia Rosa, che educa in modo estremamente
severo. Dopo qualche tempo Serafina conosce Alvaro Mangiacavallo, un camionista
come Rosario, un emigrante siciliano buffonesco e sopra le righe ma caldo e
simpatico, e sente nascere un forte interesse per lui, anche grazie alla forte somiglianza
tra Alvaro e Rosario (hanno la medesima rosa rossa tatuata sul petto: Alvaro si
è infatti sottoposto all'identico tatuaggio proprio per attrarre l'attenzione
di Serafina). Quando la donna scopre la verità (il mestiere nascosto del marito
e il vile tradimento con l'esistenza di un'amante), si sente ferita nell'onore e
sente diminuire la cieca devozione nutrita nei confronti del marito.
Rinunciando al passato e come liberata, spezza l'urna con le ceneri del marito,
dà il suo consenso al matrimonio della figlia con un ragazzo di provata fede
cattolica, e regala la camicia di seta rossa ad Alvaro decidendosi ad accettare
la sua corte. Nel 1956 il film fece incetta di Oscar (Miglior attrice
protagonista ad Anna Magnani – che
superò Susann Hayward in Piangerò domani, altro film diretto da Mann –, Migliore fotografia e Migliore
scenografia) e di Golden Globe (Miglior attrice in un film drammatico ad Anna
Magnani e Miglior attrice non protagonista a Marisa Pavan); Daniel Mann fu
nominato ai Directors Guild of America Award.
Hanno commentato i Morandini: «In Louisiana, nel Sud degli USA, dopo la
morte del marito, la siciliana Serafina passa tre anni chiusa in casa dedita al
culto delle rimembranze, finché irrompe nella sua vita Alvaro Mangiacavallo,
nerboruto camionista anch'egli siciliano, tra le cui braccia dà addio al
romitaggio vedovile. […] Film d'attori, migliora nella 2° parte grazie al
duetto buffonesco e umanissimo tra Serafina e Alvaro. Il merito è soprattutto
della Magnani che prende possesso con gloriosa sicurezza del personaggio, lo
squassa e lo modula con un brio che le fece guadagnare un Oscar e contribuì al
successo internazionale del film. […]» (il
Morandini di Laura, Luisa e Morando Morandini, Zanichelli editore).
Nel 1955 Daniel Mann ebbe il merito di lanciare a Broadway
James Dean con la sua performance del ragazzo arabo gay nella scandalosa
versione teatrale del romanzo di André Gide The Immoralist. Nonostante Dean abbandonasse ben presto la
rappresentazione per andare a Hollywood a girare La valle dell'Eden (1955), vinse un Theatre World Award grazie alla
sua intensa interpretazione.
Seguì il film La casa
da tè alla luna d'agosto (The Teahouse of the August Moon) (1956) con
Marlon Brando (Sakini), Glenn Ford (Capt. Fisby) e Machiko Kyô (Lotus Blossom);
il film fu nominato al Festival di Berlino. Tratto dalla commedia di John
Patrick, ispirata dal romanzo di Vern J. Sneijder, narra di Sakini, un
interprete giapponese che a Okinawa nel 1947 mette le truppe d'occupazione americane
a contatto con i piaceri e il modo di vivere giapponese. Scrivono i Morandini: «Fu
Brando stesso a offrirsi per il personaggio di Sakini al quale si preparò con
un lungo soggiorno in Giappone. Pur interessante come veicolo di conoscenza dei
valori della cultura giapponese per il pubblico USA, è un mediocre esempio di
teatro filmato. Dopo i primi 20 minuti si sprofonda nella noia. Si poteva
salvarlo in forma di musical.».
Mann volle di nuovo Shirley Booth in La tua pelle brucia (Hot Spell) (1958), con Shirley MacLaine e
Anthony Quinn. Hanno scritto i Morandini: «In una cittadina del Sud una
disillusa casalinga di mezza età cerca di chiudere gli occhi davanti alla
realtà di un marito che si è presa una cotta per una ventenne e dei figli che
hanno parecchi problemi. Da un dramma teatrale di Lonnie Coleman (1920-1982). È
un'occasione per vedere in azione (ben doppiata) una grande attrice di teatro
come S. Booth. Enfatico melodramma con qualche pericolosa scivolata nel
farsesco.».
Seguirono il film di guerra Tempesta sulla Cina (The Mountain Road) (1960) con James Stewart e
Lisa Lu, e il film drammatico Addio
dottor Abelman! (The Last Angry Man) (1961) con Paul Muni, David Wayne e
Betsy Palmer, narrazione della vita di un medico dedito ai poveri ormai alla
fine della sua attività, e la storia è filtrata attraverso gli occhi disincantati
di un cinico giornalista chiamato a scrivere su di lui (il film ebbe due
candidature all'Oscar, per il Miglior attore protagonista e la Migliore
scenografia).
Un gran successo al botteghino e una prova notevole di Liz
Taylor nell'interpretazione sofferta e sfrontata di Gloria Wandrous fu Venere in visone (Butterfield 8) (1960),
film intenso e melodrammatico tratto dall'omonimo romanzo di John O'Hara (1935),
con Laurence Harvey (Weston Liggett), Eddie Fisher (Steve Carpenter), Dina
Merrill (Emily Liggett) e Mildred Dunnock (Mrs. Wandrous, la mamma di Gloria). Gloria
Wandrous è una modella di New York cinica e amorale ma inquieta, in bilico tra
il suo essersi trasformata in una prostituta di lusso e il desiderio di una
ricca rispettabilità alimentato dalla madre conformista. S'innamora di Weston
Liggett, un avvocato alcolizzato, tipico esponente di una famiglia borghese, tormentato
e scontento della sua vita e del suo matrimonio. Iniziano una tumultuosa
relazione clandestina che manda in crisi entrambi. La moglie Emily tenta di salvare
il rapporto matrimoniale ma è esasperata dai tradimenti del marito. Quando Gloria
capisce che Weston non lascerà mai la moglie, a titolo di risarcimento s'impadronisce
di una pelliccia di visone di Emily. Furioso, Weston la tratta pubblicamente
come una volgare prostituta. In preda allo sconforto, Gloria decide di cambiar
vita e di andare a Boston ma Weston la rintraccia e le chiede di rimanere con
lui per sempre. Sembra che Gloria acconsenta ma all'improvviso si mette alla
guida della sua macchina in una corsa disperata verso la morte. Weston ritorna
dalla moglie desideroso di riscatto e di una nuova vita. Nel 1961 la Taylor
vinse il Premio Oscar come Migliore attrice protagonista ma in un'intervista confessò
di non aver amato il film e parlò in un regista impaziente e pressante che
dirigeva con mano pesante gli attori senza dar loro spazio. A proposito del
ruolo di donna ferita e umiliata nella sua ricerca dell'amore, nel capitolo “Elizabeth
Taylor” (Il Cinema – Grande storia
illustrata, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981) è scritto: «Le
maniere raffinate delle giovani donne dell'alta società che Liz impersonava
sullo schermo si trasformavano in comportamenti più usali tipici di personaggi più
comuni, mentre il suo stile si faceva più aspro via via che acquistava disinvoltura
e temperamento, via via che la sfrontatezza e il sarcasmo mandavano in frantumi
quell'aureola d'inaccessibile “ingenua” che in fondo aveva sempre rifiutato. […]
Questa immagine – Liz sfortunata in
amore, femmina meravigliosa e vittima di sbandate romantiche – le è
rimasta incollata addosso, nella vita privata e sullo schermo, dove ha
raggiunte punte esasperate di manierismo. è
fuor di dubbio che la Taylor sia attratta da queste figure di amanti e di mogli
calpestate, da queste donne tormentate da sventure romantiche, perché
riflettono aspetti della sua insicurezza.».
Gli anni Sessanta videro il declino inarrestabile di Daniel
Mann. Girò diverse commedie e alcuni spy movie; di questo periodo sono da
ricordare: Ada Dallas (Ada) (1961), Signora di lusso (Five Finger Exercise)
(1962), Come ingannare mio marito (Who's
Got the Action?) (1963), Le cinque mogli dello scapolo (Who's Been
Sleeping in My Bed?) (1963), Judith
(1965) con Sophia Loren e Peter Finch (tratto da un racconto di Lawrence
Durrel e sceneggiato da J.M. Hayes, storia di un'ebrea austriaca reduce da
Dachau che arriva in un kibbutz nel 1947, intenzionata a vendicarsi del marito,
un generale della Wehrmacht che l'aveva denunciata destinandola al lager con il
figlio), Il nostro agente Flint (Our Man
Flint) (1966), Un uomo per Ivy (For
Love of Ivy) (1968), e La stirpe degli
dei (A Dream of Kings) (1970).
Degno di nota è Willard
e i topi (Willard) diretto nel 1971, film horror a basso costo con Bruce
Davison (Willard Stiles), Ernest Borgnine (che diede una prova superba
interpretando il malvagio Al Martin), Elsa Lanchester (la madre Henrietta
Stiles) e Sondra Locke (Joan, la collega di Willard). Tratto dal racconto Ratman's Notebook di Stephen Gilbert, il
film fu nominato agli Eddie Awards come Miglior montatore e Migliore
sceneggiatura. Narra di Willard Stiles –
un mite individuo disadattato, maltrattato dal suo datore di lavoro Mr. Martin,
che vive in una grande casa con la madre malata – e della sua strana passione per i topi e i ratti. Si servirà
dei suoi amici roditori per vendicarsi di Mr. Martin, liberandoli a un suo party.
Quando la madre muore e i suoi amici cominciano a moltiplicarsi, è costretto a
derubare Mr. Martin per poterli nutrire. Quando Mr. Martin uccide un suo amico
ratto, Willard guida i suoi animali capitanati dal ratto Ben per uccidere Mr.
Martin. Il piano riesce. Soverchiato dagli animali, Willard cerca di liberarsi
di loro ma non ci riesce. Il film termina con Willard, chiuso dentro una stanza,
aggredito e ucciso dai topi che rosicchiando la porta sono riusciti a entrare,
e con un mostruoso primo piano del ratto Ben.
Seguirono:
il western La feccia (The Revengers)
(1972), Maurie e Interval (1973), Lost in the Stars (1974), e La
rotta del terrore (Journey into Fear) (1975) con Sam Waterston, Donald
Pleasence, Vincent Price e Shelley Winters (un thriller mozzafiato che racconta
di un geologo americano che, ritornando dalla Turchia, deve guardarsi da un
losco personaggio che lo pedina per ucciderlo). Mann chiuse definitivamente con
il mondo del cinema nel 1978 con la strampalata commedia Uppercut (tratto da un romanzo di Paul Gallico) con Robert
Mitchum, che narra di un impresario disoccupato e di pugile fallito che tornano
al successo grazie a un canguro pugile.
Negli anni Settanta e Ottanta, Daniel Mann si dedicò alla
regia televisiva. Sono da ricordare: The
Legend of Silent Night (1968), Another
Part of the Forest (1972), The Day
the Loving Stopped (1981), e Incatenato
all'inferno (The Man Who Broke 1,000 Chains) (1987), il dramma carcerario
che chiuse la sua carriera televisiva. Per la TV nel 1977 curò la regia di diversi
episodi di Alla conquista del West (How
the West Was Won).
La sua migliore opera televisiva fu la miniserie Ballata per un condannato (Playing for
Time) del 1980 con Vanessa Redgrave, che si guadagnò un Emmy Awards con la
sua interpretazione. Era la storia di Julia (nota come Fania Fenelon), musicista
ebrea di cabaret a Parigi durante l'invasione nazista, che finisce insieme ad
altri prigionieri nel campo di concentramento di Auschwitz. Organizza un gruppo
di musicisti classici che riescono a scampare alla morte affascinando con la
musica i loro aguzzini. Fu adattato per la televisione dal grande Arthur Miller
(che si aggiudicò un Emmy Award). Gli altri interpreti erano Jane Alexander,
Maud Adams, Marisa Berenson, Christine Baranski, Verna Bloom e Viveca Lindfors.
Il lavoro vinse quattro Emmy Awards e nel 1981 si aggiudicò il Christopher and
Peabody Awards.
Daniel Mann morì
a Los Angeles, presso l'UCLA Medical Center, il 21 novembre del 1991 per un'insufficienza
cardiaca. Sposato con l'attrice Sherry Presnell, aveva avuto tre figli: Michael,
Erica e Alex
(http://community.seattletimes.nwsource.com/archive/?date=19911123&slug=1318929).
In occasione della sua morte, il 23 novembre del 1991, La Repubblica
on line ha pubblicato un articolo commemorativo che così riporta: «Daniel Mann,
regista americano 79enne, è morto l'altra notte a Los Angeles; ne ha dato
annuncio il suo agente newyorkese. Meritatamente noto soprattutto come
direttore di attori e, in particolare, come “il regista delle attrici”, Daniel
Mann (da non confondere con i due omonimi Anthony e Delbert), ha messo a segno
i colpi più riusciti della sua carriera portando, nel corso degli anni
Cinquanta, ben tre sue interpreti al traguardo dell'Oscar. […] A proposito del
personaggio della Taylor, c'è da notare che sono ricorrenti, nell'universo che
il cinema di Daniel Mann predilige, personaggi drammatici, sconfitti dalla
vita, duramente provati. In una parola melodrammatici. Un gusto, il suo, che
non incontrò quasi mai accese adesioni da parte della critica: fu considerato
infatti non più che un mestierante. Attori di peso Daniel Mann ne diresse anche
molti altri. Come Marlon Brando in La casa da tè alla luna d'agosto, di nuovo
una triste storia di sentimenti contrastati. Ma non mancano nel suo percorso
alcune commedie, o film brillanti. […]» (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/23/morto-daniel-mann.html).
Gianni
Canova (Cinema, le garzantine,
Garzanti, 2009), analizzando la carriera di Mann, ha parlato di «esordio
all'insegna del dramma robusto e un po' greve», di «didascalismo che lascia
spazio a un estro recitativo puntualmente riconosciuto» (l'Oscar ad Anna
Magnani), e di «formula che ritorna con maggiore rigidità ed enfasi, o esprimendo
corpose messe in scena realistiche». Ha evidenziato anche come Mann si sia
mosso tra melodramma, commedia, parodia, thriller, deboli remake e commedie
sconclusionate.
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