sabato 18 agosto 2012

Elsa Morante, grande scrittrice inquieta e tormentata


Elsa Morante



Il 18 agosto di cento anni addietro nasceva a Roma Elsa Morante (vi morì il 25 novembre del 1985). Non soltanto grandissima scrittrice, fu anche una sensibile poetessa, un'acuta saggista e un'abile traduttrice. Il suo magico talento narrativo, la sua immaginazione vivace e fantasiosa, e la sua inventiva originalità nella parola (espressione di una separazione piena di angoscia dalla realtà) ben presto la lanciarono all'attenzione del pubblico e della critica. Tutti i suoi romanzi sono oggi considerati i testi migliori del dopoguerra e della letteratura italiana in genere.

Era la figlia naturale di Irma Poggibonsi (una maestra ebrea di origine modenese) e di un uomo di origine siciliana, ma fu riconosciuta dal marito della madre e visse un'infanzia complicata nel quartiere popolare del Testaccio a Roma insieme ai fratelli Aldo, Marcello anch'egli scrittore e Maria. Non frequentò la scuola elementare, imparando a leggere e a scrivere da autodidatta. Alla fine del liceo lasciò la famiglia per andare a vivere da sola; s'iscrisse alla facoltà di Lettere ma fu costretta ad abbandonare gli studi per mantenersi, dando lezioni private di italiano e latino e dedicandosi alla stesura di tesi di laurea.

Giovanissima, si fece conoscere per le sue filastrocche e favole per bambini, per le poesie e per i racconti brevi che pubblicò su diverse riviste (Corriere dei piccoli,Meridiano di Roma,I diritti della scuola, e Oggi”), scrivendo con gli pseudonimi maschili di Antonio Carrera e Renzo o Lorenzo Diodati. Non a caso, perché si definiva «scrittore» al maschile, in quanto «il concetto generico di scrittrici come di una categoria a parte, risente ancora della società degli harem» (http://lettura.corriere.it/la-mia-elsa-morante-incendiaria/). Si è detto: «Esplicitamente dichiarata nei primi racconti […], questa centralità della fantasticheria, che da strumento diviene ragion d'essere, valore da difendere e discrimine decisivo tra la sua narrativa e il mondo, ispirò alla Morante le opere maggiori […] di largo respiro, in cui il modello realistico di stampo ancora ottocentesco viene restituito a un'inesauribile produttività di invenzioni.» (http://www.treccani.it/enciclopedia/elsa-morante/).

Nel 1941 pubblicò il primo libro che raccoglieva alcune di quelle storie giovanili, dal titolo Il gioco segreto; nel 1942 seguì il libro per ragazzi intitolato Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina (scritto quando Elsa aveva soltanto tredici anni), che nel 1959 fu modificato e ripubblicato come Le straordinarie avventure di Caterina.

Nel 1936 aveva conosciuto lo scrittore Alberto Moravia; lo sposò nel 1941. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i due scrittori furono costretti a lasciare Roma occupata dai nazisti per riparare sulle montagne di Fondi, in provincia di Latina nella Ciociaria, paese che ispirò gli ambienti e le atmosfere di diverse opere narrative di Morante e Moravia. La Morante: «Nell'estate del '44 ritorna a Roma, ma intanto il suo complicato e difficile rapporto con Moravia alterna momenti di comunicazione intensa ad altri di distacco e malessere. In Elsa Morante, infatti, il bisogno di autonomia contrasta con una forte esigenza di protezione e di affetto. Allo stesso modo desidera e rifiuta la maternità, a cui rinuncia, ma di cui rimpiange, al tempo stesso, la possibilità perduta.» (http://www.italialibri.net/autori/morantee.html).

In quel periodo la Morante tradusse Scrapbook, il diario di Katherine Mansfield, scrittrice con la quale scoprì molte affinità sia esistenziali sia di gusto letterario, che la influenzò, e alla quale s'ispirò nei suoi romanzi. Nata in Nuova Zelanda nel 1888, la Mansfield era malata di tubercolosi e amava molto la natura; scriveva infatti: «Voglio la salute. Per salute intendo la possibilità di condurre una vita piena, adulta, viva, completa, in stretto contatto con tutto ciò che amo: la terra e le sue meraviglie, il mare, il sole…». E la natura che lei amava, riempiva liricamente i suoi testi. Nel 1917 (dopo cinque anni di vani tentativi in riviera o in sanatorio allo scopo di arrestare la malattia) Katherine Mansfield moriva ad appena 34 anni. Dopo la sua morte, il devoto marito – John Middleston Murry, grande critico letterario e scrittore del tempo, che romanticamente si entusiasmò di lei e della sua opera e che la sposò dopo il suo divorzio – pubblicò postumo nel Diario (1927) – tradotto in Italia dalla Morante (Katherine Mansfield, Quaderno d'appunti, Longanesi, Milano 1945; Feltrinelli 1979) e nelle Lettere (1928), tutto ciò che la Mansfield aveva scritto, facendo rivivere lei (che avrebbe voluto vivere a tutti i costi) nella lettura e nel ricordo dei suoi lettori. La Morante tradusse anche altri testi della scrittrice neozelandese (Il meglio di Katherine Mansfield, Rizzoli, Milano 1945).

Dopo aver viaggiato in Francia e in Inghilterra, nel 1948, la Morante pubblicò il primo dei suoi grandi romanzi, Menzogna e sortilegio, che vinse il Premio Viareggio (il romanzo fu conosciuto nel 1951 anche dal pubblico americano col titolo House of Liars, grazie alla traduzione di Adrienne Foulke e Andrew Chiappe). Al centro della narrazione, sta il declino di una nobile famiglia meridionale, osservato e ricostruito attraverso l'occhio allucinato della giovane Elisa, reclusa nella sua stanza, nutrita da fantasmi ambigui e da miti funesti. Elisa racconta il matrimonio della nonna Cesira che, da istitutrice, sposa Teodoro Massia (il discendente di una famiglia ricca e aristocratica); il sentimento ambiguo della figlia Anna («una Santa») per il bel cugino Edoardo dal carattere cupo e irascibile («un ras dei deserti d'oltretomba»), figlio della zia Concetta («una profetessa regina»); e le vicende di Francesco Di Salvo (figlio di contadini che si fa passare per un aristocratico) e della sua esuberante ragazza Rosaria che riesce a suscitare l'interesse di Edoardo. Ed Elisa è la figlia di Francesco («un granduca in incognito») e Anna mentre Edoardo, malato di angoscia, si esclude dall'esistenza vivendo in un mondo di fantasmi. Rimasta sola (ha perso il padre in un incidente sul lavoro e la madre, contagiata dalla malattia di Edoardo, si strazia nella lettura ossessiva delle oscure lettere ricevute dall'amato cugino), Elisa osserva che «Si fissarono così, in solenni aspetti a me familiari, le maschere delle mie futili tragedie...». Dopo molti anni, la ragazza incontra Rosaria che ne diviene l'amica e la maestra di vita. Ha scritto Francesco Troiano: «Nel narrare i casi d'una benestante famiglia meridionale destinata alla decadenza, tramite lo sguardo febbrile e tormentato d'una giovane donna isolatasi dal mondo, la Morante s'allontana in maniera assai netta dall'imperante modello neorealistico: si precisa, da subito, la sua predilezione pel magico e la fantasticheria, in una chiave tuttavia caricata d’angoscia dal confronto coi dati della realtà.»
(http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/morante/bibliografia.htm). è stato anche commentato: «il romanzo riprende i grandi modelli della tradizione, da Stendhal a Tolstoj, in cui la narrazione diventa specchio della società umana»
http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/morante/menzognasortilegio.htm).  
è stato osservato ancora: «Così assediata da tali “magnifiche” ombre, l'io narrante di Menzogna e sortilegio s'incammina verso la necropoli del proprio mito familiare: pari a un archeologo che parte verso una città leggendaria.» (commento all'edizione di Einaudi, Torino 2005).

Con il miglioramento della loro situazione economica, Morante e Moravia presero possesso di un attico in via dell'Oca, che divenne uno dei più vivaci e frequentati centri intellettuali romani (si raccoglievano intorno ai due grandi scrittori: Giorgio Bassani, Attilio Bertolucci, Natalia Ginzburg, Pier Paolo Pasolini, Sandro Penna, Umberto Saba ed Enzo Siciliano). La Morante collaborò poi con la Rai e, insieme con una delegazione culturale, visitò l'Unione Sovietica e la Cina.

L'altro grande romanzo L'isola di Arturo fu pubblicato nel 1957 (con grande successo di pubblico e di critica) e vinse il Premio Strega (gli dedicherò un articolo a parte).

Nel 1958 pubblicò 16 poesie raccolte in un volume dal titolo Alibi, tutte poesie d'amore, immaginario o reale non ha importanza, ma un amore «vissuto come un male, e insieme come la sola liberazione dal male». Si tratta di «poesie da album, ma un album visitato da una tristezza veggente di chiromante pazza, che interroga, cieca, le linee confuse e arruffate del suo destino, senza riuscire ad afferrarlo», un destino che appare «sempre più simile a una condanna e a un inferno» a «una ragazza sognatrice che vuole l'amore e aspetta la felicità» ma che indulge alle cantilene e ai sortilegi che accompagnano la magia (commento all'edizione di Einaudi, Torino 2012).

Durante gli anni Sessanta, Elsa Morante attraversò un lungo periodo di riflessione, mostrandosi scontenta di ciò che aveva scritto (il periodo di crisi fu forse innescato dalla separazione tra la Morante e Moravia, iniziata nel 1961 e realizzatasi definitivamente nel 1962, anno a partire dal quale e fino al 1978, Moravia ebbe come compagna Dacia Maraini). Frequentò il regista Luchino Visconti, il pittore newyorkese Bill Morrow conosciuto nel 1959 durante un suo viaggio negli Stati Uniti e morto suicida precipitando da un grattacielo (Elsa porterà per anni con sé lo sconvolgimento provocato da questo grande dolore) –, il critico Cesare Garboli e l'attore Carlo Cecchi (che le rimase accanto sino alla fine). Nel 1960, senza lasciare la casa coniugale e lo studio dei Parioli, si trasferì in via del Babuino. Andò con Moravia in Brasile e l'anno successivo con Pasolini viaggiò in giro per l'India. Continuò poi da sola i suoi viaggi per il mondo, andando in Andalusia e Messico, e nel Galles.

Sia la Morante sia Moravia manifestarono curiosità e interesse per il cinema (Moravia fu anche critico cinematografico per quotidiani e settimanali) e affidarono al cinema la trasposizione di molti dei loro lavori. Nel 1961 Elsa Morante volle partecipare come attrice (interpretava una detenuta) al film epico e tragico di Pier Paolo Pasolini Accattone (sceneggiato dallo stesso Pasolini con la collaborazione di Sergio Citti), insieme con Franco Citti (Cataldi Vittorio detto Accattone), Franca Pasut (Stella), Silvana Corsini (Maddalena), Paola Guidi (Ascenza), Adriana Asti (Amore) e ad altri numerosi attori non protagonisti, considerati dal regista interpreti «puri e incontaminati». Il film era dedicato a rappresentare un sottoproletario romano il cui stile di vita dei protagonisti era improntato alla necessità del sopravvivere giorno per giorno, anno dopo anno. Divenne una metafora di quella segmento povero dell'Italia che viveva e moriva disperato nelle periferie delle grandi città. Il film era nelle corde della tematica della Morante, che non si rifiutò alla proposta di Pasolini, amico di una vita. Il film fu presentato alla 26ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia ma ricevette dure contestazioni. Alla Prima del film al cinema Barberini a Roma, ci furono disordini e colluttazioni (il film venne poi bloccato dalla censura e fu ritirato da tutte le sale italiane).

Nel 1963 Morante pubblicò la seconda raccolta di racconti Lo scialle andaluso (che includeva l'omonimo racconto uscito su Botteghe Oscure nel 1953) e nel 1968 diede alle stampe Il mondo salvato dai ragazzini, una moderna miscellanea di poesia, dramma, canzone, satira, dialoghi e manifesto ideologico ma «l'elemento unificante di tanta disparità espressiva è una sorta di tensione vitalistica che libera i fantasmi della sofferenza claustrale nel credo quasi gioioso dell'anarchismo e del pauperismo, nella fiducia accordata ai “ragazzetti celesti”, ingenui portatori dell'unica possibile felicità, quella dell'innocenza astorica e divinamente barbarica.» (La nuova Enciclopedia della Letteratura, Garzanti, 1985). Ha scritto Francesco Troiano: «qui, sulla scorta della fiducia riposta nei “ragazzetti celesti”, celebra ancora l'utopia di un'esistenza svincolata da lacci e lacciuoli, inclusi quelli imposti dalle società strutturate, nei toni di un “anarchismo metastorico” (G.Fofi).».
(http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/morante/bibliografia.htm)
è stato osservato anche che: «Ne Il mondo Salvato dai ragazzini, la scrittrice accentuò i caratteri anarchici già presenti nei personaggi delle sue opere.»
(fonte: www.italiadonna.it, in http://www.riflessioni.it/enciclopedia/morante.htm).
Nella sua prefazione (Einaudi, Torino 2012), Goffredo Fofi ha scritto: «Un libro uscito in una data fatidica, il 1968, che ha accompagnato una stagione della società italiana segnata dalla volontà di profondo rinnovamento politico e morale. Un libro di grandi slanci, anche formali. Non c'è nulla nella tradizione letteraria italiana che gli assomigli anche lontanamente. […] Un inno all'adolescenza, alla sua energia e alla sua bellezza come visione politica per cambiare il mondo. Per questo è il libro che concentra e riassume tutti gli altri libri di Elsa Morante.».

Nel 1974 uscì La Storia, ambientata a Roma durante la Seconda Guerra Mondiale (dedicherò a questo vero capolavoro letterario un articolo a parte).

L'ultimo romanzo, Aracoeli, fu pubblicato nel 1982, e nel 1984 le meritò il Prix Médicis. William Weaver, che aveva già tradotto La storia, tradusse anche Aracoeli, facendo conoscere questi due superbi romanzi negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone. Dedicherò ad Aracoeli un articolo a parte.

Negli ultimi anni della sua esistenza iniziò un buio periodo di sofferenze, povertà, solitudine e rifiuto del declino estetico e fisico provocato dagli anni. Una frattura al femore e un successivo intervento chirurgico innescarono una serie tale di complicanze e malattie da lasciarla a letto senza poter più camminare e da farle tentare il suicidio nell'aprile del 1983 aprendo i rubinetti del gas (fu salvata in extremis da una domestica). Morì nel 1985 per una complicanza ischemica cardiaca dopo un secondo intervento chirurgico e un lungo coma.

Furono pubblicati postumi, raccolti a cura di Irene Babboni e di Carlo Cecchi, i Racconti dimenticati che riprendevano molti racconti, dodici brevi aneddoti infantili, e una storia inedita dal titolo Peccati. Carlo Cecchi e Cesare Garboli curarono, inoltre, i due volumi di Opere (Mondadori "I Meridiani", Milano 1988-90).

La Morante, che da «narratrice nata» aveva offerto tutta la sua esistenza alla letteratura (http://www.italialibri.net/autori/morantee.html), fu anche una colta e appassionata saggista. Ricordiamo: Diario 1938, in cui – registrando il meglio e il peggio della sua tormentata relazione con Alberto Moravia emergevano «le sue personali e familiari inquietudini, il suo appassionato gusto della finzione» (http://www.italialibri.net/autori/morantee.html), oltre a «una serie di annotazioni sull'incapacità della scrittrice di trovare la felicità e la pace»
(fonte: www.italiadonna.it, in http://www.riflessioni.it/enciclopedia/morante.htm).
Vi scriveva: «Che il segreto dell'arte sia qui? Ricordare come l'opera si è vista in uno stato di sogno, ridirla come si è vista, cercare soprattutto di ricordare. Ché forse tutto l'inventare è ricordare.» (Roma, 23 gennaio 1938, a cura di Alba Andreini, Einaudi, Torino 1989). Fu seguito a pochi mesi di distanza da Paragone (un secondo diario che partiva dal 1952). Scrisse in seguito: Il poeta di tutta la vita (1957) dedicato a Umberto Saba; Sul romanzo (1959); Sull'erotismo in letteratura (1961); Navona mia (1962); Pro o contro la bomba atomica (1965), saggio scritto sulla spinta di un forte coinvolgimento nelle inquietudini del momento – vi scriveva: «Una delle possibili definizioni giuste di scrittore, per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura.» –, e Il beato propagandista del Paradiso (1970) dedicato al Beato Angelico.

La scrittrice Silvia Avallone (autrice dello strepitoso romanzo d'esordio Acciaio, Rizzoli 2010), che durante la stesura della sua tesi fu molto vicina a Elsa Morante, scrisse di lei: «Abbiamo tutti bisogno di maestri, se vogliamo conquistarci un'identità nostra. […] Io ho scelto Elsa Morante […] Una persona difficile, che non è mai diventata mamma e nei suoi romanzi ha sempre riversato l'ossessione della maternità rimpianta; un carattere ribelle, che non ha preso partito, perché il suo folle amore per il mondo non poteva che essere anarchico, utopico e morboso. Uno scrittore che non ha piegato la letteratura a secondi fini, che non ha mai sincronizzato il tempo della scrittura con il tempo dei media e del mercato. Una fanatica della parola letteraria, un romanziere assoluto, una strega ritirata ed eccentrica, un'artista ambiziosa, atrocemente libera. Insomma, una cattiva maestra perché una maestra impossibile. […] Quattro romanzi in una vita, due raccolte di poesie, due racconti. La Morante non ha mai voluto lasciarsi condizionare dal tempo, che detestava. L'unica cosa che le faceva davvero orrore era la vecchiaia, doversi ritrovare lei – eterna ragazza – nel corpo sformato e raggrinzito di una vecchia. Ma sapeva che le parole, loro, sono sempre adolescenti. E che i suoi libri non sarebbero invecchiati mai.»
(http://lettura.corriere.it/la-mia-elsa-morante-incendiaria/).


Radio3 sta festeggiando il centenario della nascita di Elsa Morante dedicandole, a partire dal 4 giugno, un ciclo del programma “Ad alta voce”, dal lunedì al venerdì alle ore 17. Gli attori Iaia Forte, Sandro Lombardi e Maria Paiato rendono omaggio alla grande scrittrice romana, tracciando a ritroso il percorso letterario della Morante attraverso la lettura dei tre suoi capolavori: Aracoeli, La Storia e L’isola di Arturo. In settembre saranno presentate, inoltre, opere teatrali, letture, esperienze artistiche e sociali ispirate alla scrittrice (vedere su Repubblica, 4 giugno 2012).

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