mercoledì 1 agosto 2012

Osea e la sua sposa infedele: la Bibbia come letteratura


Osea


Il profeta Osea, figlio di Beeri, nato e vissuto in Israele, operò sotto il regno di Geroboamo II (783-743 a.C.). In ebraico il nome Osea significa “il Salvatore”. Fu il primo dei profeti minori del canone ebraico della Bibbia, e la sua canonicità è ben documentata dal fatto che molti dei suoi vaticini sono stati citati nel Nuovo Testamento. Il libro consta di 14 capitoli ed è diviso in due parti: la prima parte comprende i primi tre capitoli ed è incentrata sul matrimonio (è stata certamente ispirata dall’unione infelice di Osea con «una donna di prostituzione» e dalla sua vita familiare deludente); la seconda parte comprende tutti gli altri capitoli e contiene la dura rappresentazione della corruzione generale e dell’idolatria d’Israele (che aveva preso ad adorare un vitello d’oro), la minaccia di punizioni, un vaticinio di consolazione e l’invito di Dio al suo popolo affinché ritorni ai giorni puri dell’alleanza nel deserto.

Abbandonandosi al tempo della giovinezza e della fedeltà d’Israele, Osea aspira all’«ideale del deserto», che con la sua solitudine spinge il popolo ebreo a mantenersi fedele al suo Dio. Nei suoi scritti pieni di forza drammatica ma anche di tenerezza e di strisciante sensualità, il matrimonio assume la forza grande di un simbolo: Dio parla per bocca del suo profeta ed è rappresentato come uno sposo, che – pur amando molto e ostinatamente – è tradito dal suo popolo (la sposa adultera) che infrange l’alleanza del Sinai, cioè lo stretto patto d’amore che prima li univa. Si discute se il matrimonio sia veramente esistito nella vita d’Osea, oppure se sia stato soltanto un pretesto allegorico.

1. La sposa infedele di Osea. […] / Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse: / «Va’, prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione, / poiché il paese non fa che prostituirsi / allontanandosi dal Signore». / Egli andò a prender Gomer, figlia di Diblaim: essa concepì e gli partorì un figlio. E il Signore disse a Osea: / «Chiamalo Izreel (nome simbolico di una pianura di Galilea), / perché tra poco / vendicherò il sangue di Izreel / sulla casa di Ieu / e porrò fine al regno / della casa d’Israele. / In quel giorno / io spezzerò l’arco d’Israele nella valle di Izreel». / La donna concepì di nuovo e partorì una figlia e il Signore disse a Osea: /   «Chiamala Non–amata, / perché non amerò più / la casa di Israele, / non ne avrò più compassione. / […]». / Dopo aver divezzato Non–amata, Gomer concepì e partorì un figlio. E il Signore disse / a Osea: / «Chiamalo Non–mio popolo, / perché voi non siete mio popolo / e io non esisto per voi». […]

2. Riconciliazione. […]  
“Rimproveri e minacce.”
Dite ai vostri fratelli: «Popolo mio» / e alle vostre sorelle: «Amata». / Accusate vostra madre, / accusatela, / perché essa non è più mia moglie / e io non sono più suo marito! / Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni / e i segni del suo adulterio dal suo petto; / altrimenti la spoglierò tutta nuda (punizione inflitta allora a una sposa infedele) / e la renderò come quando nacque / e la ridurrò a un deserto, / come una terra arida, / e la farò morire di sete. / I suoi figli non li amerò, / perché sono figli di prostituzione. / La loro madre si è prostituita, / la loro genitrice si è coperta di vergogna. / Essa ha detto: «Seguirò i miei amanti, / che mi danno il mio pane e la mia acqua, / la mia lana e il mio lino, / il mio olio e le mie bevande». / Perciò ecco, ti sbarrerò la strada di spine / e ne cingerò il recinto di barriere / e non ritroverà i suoi sentieri. / Inseguirà i suoi amanti, / ma non li raggiungerà, / li cercherà senza trovarli. / Allora dirà: «Ritornerò al mio marito di prima / perché ero più felice di ora». / Non capì che io le davo / grano, vino nuovo e olio / e le prodigavo l’argento e l’oro / che hanno usato per Baal (l’idolo profano). / Perciò anch’io tornerò a riprender / il mio grano, a suo tempo, / il mio vino nuovo nella sua stagione; / ritirerò la lana e il lino / che dovevano coprire le sue nudità. / Scoprirò allora le sue vergogne / agli occhi dei suoi amanti / e nessuno la toglierà dalle mie mani. / Farò cessare tutte le sue gioie, / le feste, i noviluni, i sabati, / tutte le solennità. / Devasterò le sue viti e i suoi fichi, / di cui essa diceva: / «Ecco il dono che mi han dato i miei amanti». / La ridurrò a una sterpaglia / e a un pascolo di animali selvatici. / Le farò scontare i giorni dei Baal / quando bruciava loro i profumi, / si adornava di anelli e collane / e seguiva i suoi amanti / mentre dimenticava me! / – Oracolo del signore.

“Conversione.”
Perciò, ecco, la attirerò a me, / la condurrò nel deserto / e parlerò al suo cuore. / Le renderò le sue vigne / e trasformerò la valle di Acor (ingresso per la terra promessa) / in porta di speranza. / Là canterà / come nei giorni della sua giovinezza, / come quando uscì / dal paese d’Egitto. / E avverrà in quel giorno / – Oracolo del Signore – / mi chiamerai: Marito mio, / e non mi chiamerai più: Mio padrone. / […] / Ti farò mia sposa per sempre, / ti farò mia sposa / nella giustizia e nel diritto, / nella benevolenza e nell’amore, / ti fidanzerò con me nella fedeltà / e tu conoscerai il Signore. / […] [Da “Libro di Osea” (2a metà dell’VIII secolo a.C.), ne La Sacra Bibbia – Antico Testamento, Edizione Ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana - CEI S.R.L. per il Testo Sacro, Roma 1974]

In questo scritto dotato di un evidente respiro letterario si notano sentimenti umanissimi di mortificazione per i tradimenti della moglie (che Osea considera una prostituta), insieme a un gran desiderio di rivalsa che spinge il profeta a vagheggiare l’umiliazione della donna e il suo totale annientamento di fronte agli amanti: «la ridurrò a un deserto… a una sterpaglia e a un pascolo di animali selvatici… scoprirò allora le sue vergogne agli occhi dei suoi amanti». Le parole sono di una suggestione enorme, in quanto Osea mescola l’invettiva contro la moglie con quella contro il popolo infedele («Le farò scontare i giorni dei Baal»), confondendo prostituzione e idolatria. Osea sa anche usare, però, toni d’infinita tenerezza per questa moglie infedele e frasi che hanno la straordinaria bellezza di una poesia d’amore: «Perciò, ecco, la attirerò a me, / la condurrò nel deserto / e parlerò al suo cuore».

Il ritorno al deserto diviene per Osea un’immagine di rigenerazione morale, anche con riferimento alla moglie. E sempre c’è la sovrapposizione tra Gomer, la donna indegna, e la gente d’Israele, il popolo indegno («Là canterà / come nei giorni della sua giovinezza, / come quando uscì / dal paese d’Egitto»), commistione tra il tradimento di Gomer e quello degli Israeliti, identificazione tra l’amore di Osea per la moglie e quello di Dio per il suo popolo ingrato. Dio ama lo stesso («Verrà a noi come la pioggia d’autunno, / come la pioggia di primavera, che feconda la terra»), nonostante l’amore del popolo d’Israele sia labile «come una nube del mattino, / come la rugiada che all’alba svanisce» (6. Superficiale ritorno a Dio.).

Contro i peccati di questo popolo corrotto, Osea scaglia parole di fuoco e preannunzia orribili castighi: «E poiché hanno seminato vento / raccoglieranno tempesta. / Il loro grano sarà senza spiga, / e il germoglio non darà farina, / e se ne produce, la divoreranno gli stranieri.» (8. I peccati.). Infuriato continua: «[…] / L’aia e il tino non li nutriranno / e il vino nuovo verrà loro a mancare. / […] / Pane di lutto sarà il loro pane, / coloro che ne mangiano diventano immondi. / […] / Sono venuti i giorni del castigo, / sono giunti i giorni del rendiconto, / […] / ma egli si ricorderà della loro iniquità, / farà il conto dei loro peccati. / […]»; e il Signore è indignato: «Per i loro misfatti / li scaccerò dalla mia casa, / non avrò più amore per loro; / […] / la loro radice è inaridita, / non daranno più frutto. / Anche se generano, farò perire / i cari frutti del loro grembo. / […]» (9. Israele deportato.).

L’ultima parte del libro descrive l’amore del “Dio–sposo” per il suo “popolo–sposa” (e prostituta) con parole appassionate: «[…] / Io li guarirò dalla loro infedeltà / li amerò di vero cuore, / poiché la mia ira si è allontanata da loro. / Sarò come la rugiada per Israele; / esso fiorirà come un giglio / e metterà radici come un albero del Libano / si spanderanno i suoi germogli / e avrà la bellezza dell’olivo / e la fragranza del Libano. / Ritorneranno a sedersi alla mia ombra, / […] / io sono come un cipresso sempre verde, / grazie a me tu porti frutto. / […]» (14. Invito al ritorno.).

Ritornando alla metafora del matrimonio, l’amore rinato tra l’uomo placato e la donna perdonata è vissuto però nell’ambito dell’amore per Dio: «Ti farò mia sposa per sempre, / ti farò mia sposa / nella giustizia e nel diritto, / nella benevolenza e nell’amore, / ti fidanzerò con me nella fedeltà / e tu conoscerai il Signore». Nella prima lettera di Giovanni, scritta a Efeso nell’anno 100 per i cristiani dell’Asia Minore, è ripreso questo concetto: «Carissimi, amiamoci gli uni e gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. […] Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.».

In “Osea e Gomer: il profeta e la prostituta”, scritto da Annalisa Margarino (tratto dal numero 14 di Diogene, dossier: La prostituta: vittima o degenerata?), si osserva: «Nella Bibbia la prostituzione è dichiaratamente condannata perché è considerata come un sovvertimento della legge divina e un abuso della sessualità, che dovrebbe essere vissuta secondo il progetto di Dio, il quale prescrive all’uomo e alla donna di diventare una carne sola e d’amarsi in un rapporto di coppia. Prostituirsi significa quindi violare la Legge consegnata a Mosè che norma gli atteggiamenti con Dio, con se stessi e con il prossimo. […] Era prevista la lapidazione, sanzione che spettava a tutti gli atti riconosciuti come infami nella casa di Israele, perché disonoranti e non rispettosi della legge di Dio e del prossimo. È nota la severità di Israele in fatto di pene! […] La prostituzione è idolatria. […] Nei libri profetici si trovano numerose invettive di Dio contro Gerusalemme che si è data alla “prostituzione”. Questa diventa, così, un simbolo, un indicatore per eccellenza della condizione di Israele. […] “Va’, prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione, poiché il Paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore”, questo è l’invito che il profeta Osea si sente rivolgere dal suo Dio. […] La cosa sconcerta sempre a un primo impatto. Dio che ordina di sposare una prostituta? Dio comanda a Osea di sposarsi con una prostituta proprio perché Israele, il popolo eletto di Dio, da lui tanto amato, si sta prostituendo e sta mancando nella sua fedeltà. Così lo sposalizio tra Osea e Gomer, la prostituta, simboleggia il matrimonio corrotto tra Dio e il suo popolo che concede il suo culto ad altri idoli e vive superficialmente non manifestando più fedeltà all’Alleanza. Quale sarà però il risultato del matrimonio tra il profeta, simbolo di colui che ascolta e parla apertamente mantenendo fedeltà al suo Dio, e Gomer, simbolo dell’infedeltà e della chiusura? Il risultato di tale non–relazione sono due figli, di nome Non–amata e Non–mio–popolo. I figli di prostituzione non possono essere amati, perché non sono nati da un rapporto d’amore. Ma proprio per questo il profeta deve trasformare la sua compagna da una prostituta a un oggetto d’amore: […]. Questi versetti hanno un significato centrale: sono, in realtà, pieni di amore, perché il Profeta, dopo aver eseguito gli ordini del Signore, si rende conto che la sua prostituta non può che generare non–amati, perché, prima ancora dei suoi figli, è lei stessa la non–amata. La relazione che libera la prostituta è il risultato di un rapporto che la pone nella condizione di “neonata”. […]. Dio non accetta l’essere considerato solo come padrone e che la sua donna–Israele corra tra le false sicurezze di tanti amanti: “[…] Io li seminerò di nuovo per me nel Paese e amerò Non–amata; e a Non–mio–popolo dirò: 'Popolo mio', ed egli mi dirà: 'Mio Dio'” […]. Sono parole di una dichiarazione d’amore. Alla prostituzione si oppone il desiderio di un’alleanza, di un continuo riconoscimento di sé e dell’altro, alla fuga, alla precarietà si contrappone la fedeltà. Ai linguaggi della prostituzione dove tutto è sfuggente, si contrappongono linguaggi di radicalità, totalità, parole di relazione. […] La relazione salvifica promessa da Dio nell’Antico Testamento tramite Isaia, Osea, Ezechiele trova compimento nel Nuovo. Una delle frasi più lapidarie e sconvolgenti del Vangelo riguarda proprio le prostitute: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Matteo 21,31). […]» 
(http://www.diogenemagazine.eu/home/index.php?option=com_content&view=article&id=89:osea-e-gomer-il-profeta-e-la-prostituta&catid=16:sessualita&Itemid=110).

Concludendo, il libro di Osea rappresenta la prima occasione in cui il rapporto tra Dio e il popolo di Israele nella Bibbia è associato a un matrimonio. L’immagine è stata ripresa poi da Geremia e più tardi è stata piuttosto ricorrente nel Nuovo Testamento.

P.S. Nel film La via lattea (La voie lactée) (1968) di Luis Buñuel con Christine Simon (la ragazza incatenata), Pierre Clémenti (il demone), Georges Marchal (il gesuita), Jean Piat (il giansenista), Michel Etcheverry (l’inquisitore), e Alain Cuny (l'uomo col mantello), si narra di due vagabondi dei giorni nostri: Jean, giovane e scettico (Laurent Terzieff), e Pierre, vecchio e credente (Paul Frankeur), che partono insieme da Fontainebleau in Francia per raggiungere il santuario di Santiago de Compostela in Spagna (la via Lattea è appunto il nome di quella strada attraverso la quale i pellegrini da Parigi raggiungevano il  santuario di San Giacomo, sorto a Santiago de Compostela nel 1075 per ospitare le spoglie miracolosamente ritrovate dell’apostolo di Cristo). I due pellegrini fanno degli incontri interessanti con eresie del Cristianesimo antico e moderno, imbattendosi in tutta una serie di situazioni assurde e di diabolici personaggi che indossano abiti di epoche passate. Hanno scritto i Morandini: «Il surrealismo del vecchio maestro spagnolo è al massimo della sua forma in questa deliziosa, sarcastica scorribanda attraverso le eresie, da lui prese come segni di una dialettica tra fede e ideologia, potere e libertà. Scritto con Jean-Claude Carrière. L'attore che fa Gesù è Bernard Verley.» (http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=27487). Alla fine del film il regista ci tiene a sostenere la veridicità storica delle dispute teologiche rappresentate nel film.
Come ha scritto laulilla, concludendo la sua recensione dal titolo “Uno strano pellegrinaggio” (mercoledì 20 aprile 2011): «Le religioni, dunque, sono per Buñuel nient’altro che ipocriti veli dell’autorità politica; la Chiesa si alimenta delle ambiguità contenute nel messaggio cristiano, che non è solo un messaggio d’amore, ma contiene in sé anche i germi della violenza che ha contraddistinto tutta la sua storia: non a caso, nelle ultime scene del film, gli apostoli seguiranno Cristo, proprio dopo che avrà indicato nella guerra e nella divisione anche dei nuclei familiari più stretti, la sostanza della propria predicazione. Solo uno dei due ciechi miracolati, il più povero e più ingenuo, non lo seguirà. Film blasfemo, come altri del grande regista, surreale nei modi della rappresentazione, che ricorre anche a stilemi della letteratura fantastica (metafore ed espressioni verbali che diventano realtà), diretto magistralmente da un Bunuel in piena forma.»
(http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=27487). E in questo film, dopo aver fatto l'elemosina ai pellegrini Laurent Terzieff e Paul Frankeur, Alain Cuny cita liberamente il profeta Osea: «Andate… Prendete una meretrice e generate figli di prostituzione. Chiamerete il primo “Tu non sei il mio popolo” e il secondo “Non più misericordia”».

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