mercoledì 19 settembre 2012

Roberta Torre, originale regista e produttrice di rottura



Roberta Torre


Compie in questi giorni cinquant'anni Roberta Torre, la talentuosa regista milanese – ma anche sceneggiatrice, produttrice, scrittrice e fotografa – nata a Milano il 21 settembre del 1962. Laureatasi in Filosofia, si è specializzata in regia presso la “Civica Scuola di Cinema e Televisione” e si è diplomata in recitazione e drammaturgia alla “Scuola d'arte drammatica Paolo Grassi”. Nel 1990 Roberta Torre è venuta a contatto con la drammatica realtà di Palermo, ove si era trasferita per collaborare con i registi Ciprì e Maresco, maestri di regia e di realismo grottesco, e ove è rimasta per circa quindici anni.

Si fece notare ben presto con i suoi cortometraggi e documentari, che le meritarono diversi premi in festival cinematografici nazionali e internazionali. Sono da ricordare: Tempo da buttare (1991); Hanna Schygulla (1992), un ritratto–intervista dell'attrice feticcio del grande regista tedesco Rainer Werner Fassbinder (1945–1982) e Zia Enza è in partenza (1992); Femmine Folli (Barbablù Tango, Lady M, La donna dei lupi) (1993) e Il teatro è una bestia nera (1993); Angelesse (1994) dedicato alle donne della periferia palermitana, Le anime corte (1994) e Senti amor mio? (1994) vincitore del premio Aiace a Venezia; Il cielo sotto Palermo (1995) costituito da appassionate interviste con detenuti dell'Ucciardone, Angeli con la faccia storta (1995) e Spioni (1995) sui bambini di Borgo Nuovo e la mafia; il ritratto del cantante Nino D'angelo La vita a volo d'Angelo (1996), Verginella (1996) e Palermo Bandita (1996), dedicato ai ragazzi di Brancaccio. Nel sito della regista è scritto: «La cifra stilistica che li percorre è costantemente quella di una stretta commistione tra documentario e finzione, dove la realtà più cruda è mescolata a toni teatrali e stranianti.»
(http://www.robertatorre.com).

Ma il successo – quello vero – arrivò con Tano da morire (1997), originale e coloratissimo, ironico e grottesco fin quasi al demenziale, musical a tempo di rap sulla mafia e sui suoi riti, recitato da numerosi eccezionali attori non professionisti, che ottenne un gran successo aggiudicandosi tre Nastri d'Argento e due David di Donatello (la Torre come migliore regista esordiente e Nino D'angelo per le migliori musiche). Il film è ispirato a una storia vera, l'omicidio di Tano Guarrasi, apparentemente un macellaio di Palermo ma in effetti un importante esponente della mafia. Ha scritto Morando Morandini: «Storia parlata, cantata, suonata e un po' ballata di Tano Guarrasi, boss palermitano di quartiere ucciso nel 1988 da un sicario dei corleonesi, e delle sue quattro sorelle zitelle. […] è un film dove si mette in musica – non in burla – la mafia, rappresentata dall'interno, partendo dall'immaginario dei suoi personaggi/attori che la sentono come un sistema di valori che ha strutture, necessità, codici, riti. […] Film impudico e blasfemo che trasforma l'antropologia in spettacolo e comunicazione con una qualità rara nel cinema italiano (europeo): l'energia. 1° premio a Sulmona.» (http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=24596). Ha scritto Fabio Secchi Frau del film: «La Torre mischia Tati e Waters in una serie di gag strepitose, coadiuvata dalle musiche di Nino d'Angelo, e gioca con il tema della mafia (pur facendone una satira) in chiave originale, […]» (http://www.mymovies.it/biografia/?r=7450). Gianni Canova parla di «film originale e intelligente […] inconsueto musical sulla mafia» che utilizza «un linguaggio ridondante ma di sicura efficacia» e che mette in scena «l'immaginario e il sistema di valori dei mafiosi osservati con un occhio più antropologico che politico» (Cinema, le garzantine, Garzanti, 2009).

Seguì il corale Sud Side Stori – La storia vera di Romea e Giulietto (2000), un altro particolare musical con Mario Merola e Little Tony, incentrato su una moderna coppia di giovani amanti e interpretato da alcune centinaia d'immigrati africani sbarcati sulle coste della Sicilia (la regista ha curato anche la scenografia, i testi e le musiche multietniche in collaborazione con altri). Il titolo richiama ironicamente il famosissimo musical degli anni Cinquanta West Side Story. Ha scritto Gianni Canova: «Più confuso e meno controllato […], in cui il mélange di frammenti diversi (da spezzoni di finto cinema verità a numeri musicali veri e propri) risulta poco riuscito» (Cinema, le garzantine, Garzanti, 2009).

Fu poi la volta del mèlo Angela (2002), con Donatella Finocchiaro e Andrea Di Stefano, storia d'amore fra una donna di mafia (che copre i suoi loschi traffici in un negozio di scarpe) e un “mafiosetto”, Masino, sentimentale e chiacchierone. Presentato con successo alla Quinzaine des Realizateurs di Cannes nel 2002, è stato vincitore di premi ai Festival internazionali di Tokio e Mosca, e candidato a sette David di Donatello. Durante un'intervista rilasciata in occasione dell'uscita del film successivo, Mare Nero, la Torre ha detto: «In Angela, il mio film precedente, la sceneggiatura era ferrea e al tempo stesso semplice, quasi una cronaca. Questo mi ha dato la possibilità di fare un grande lavoro con gli attori proprio perché sapevo di avere dei punti fermi sul piano narrativo. È un bel modo di lavorare ma devi avere anche un meccanismo produttivo che te lo permette e più tempo per le riprese. Mare Nero è un film concepito in nove settimane di riprese, ridotto via via a sei. Sicuramente l’aver dovuto ridurre in corsa la sceneggiatura non ha giovato. Ma era un rischio che avevo sottovalutato perché io ho sempre lavorato in condizioni limite, tranne per Angela appunto, che ritengo il film dove ho potuto avere realmente quello che serviva, le mie esperienze  produttive sono state sempre di adattamento. Da un certo punto di vista mi è servito perché quando hai pochi mezzi devi avere molte più idee (Tano da Morire è un film “di cartone” se ci si pensa… sei settimane di riprese, attori presi per strada, scenografie di cartapesta…) ma ci sono casi in cui non lo puoi fare.» (http://www.blackmailmag.com/Intervista_a_Roberta_Torre.htm).
Ha scritto di Angela Pino Farinotti: «Roberta Torre fa di nuovo parlare di sé. Con Tano da morire aveva, nel suo piccolo, reinventato un genere, successivamente molto apprezzato dagli americani che hanno, in un certo senso, adottato la regista. Sarebbe stato facile, per lei, ripercorrere quella strada: quasi una franchigia, una garanzia di successo. Invece ha cambiato direzione. L’ambiente continua ad essere quello della mala siciliana, ma i toni diversi. è storia d’amore. […] Lei perde la testa e crede di poter ricominciare rinnegando tutto il resto. Ma proprio non si può. Il film ha ottenuto un buon successo di critica (presentato a Cannes) e anche di pubblico. La Torre, così come Muccino (certo, per contenuti completamente diversi), sta acquisendo i contorni di “autore di culto”. Vedremo.»
(http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=34221).

Con Mare Nero (2006) la Torre ha realizzato un noir affascinate (fotografia di Daniele Ciprì), interpretato da Luigi Lo Cascio e Anna Mouglalis, che narra del “viaggio infernale” di un ispettore di polizia che, alle prese con le sue ossessioni, deve lottare contro i demoni del Dubbio e del Tradimento. Ambientato nel torbido mondo notturno dei club privé e degli scambi di coppia, come al solito, il film si è fatto notare in diversi festival internazionali. A proposito di questo film (che l'ha fatta «soffrire parecchio» e da lei definito «psicoanalitico») e dei suoi limiti di produzione che hanno influito sul suo contenuto artistico provocandone una non perfetta riuscita, ha rivelato Roberta Torre in un'intervista: «In realtà devo dire che da quando ho iniziato a fare cinema io non ho mai creduto alle storie e cioè non credo che la trama di per sé possa o meno garantire il valore di un film. Film senza storia in senso classico sono capolavori (basti pensare a Godard) e storie bellissime possono diventare film mediocri. Quando ho pensato a Mare Nero non ho pensato a una storia da raccontare, piuttosto sono partita dall'idea di fare un viaggio  e prima ancora da un'ossessione. Era qualcosa che conoscevo bene emotivamente, qualcosa che mi apparteneva. La scommessa era far diventare tutto questo una storia, quindi una sceneggiatura e poi un film. Mentre le ossessioni e le emozioni che volevo ritrovare nel protagonista del film mi erano chiarissime (tradimento, delirio di gelosia, senso di abbandono) non sapevo davvero dove mi avrebbero portato in termini drammaturgici. So che qualcosa di tutto questo è rimasto in quel film, altro si è perso o non ha trovato una sua strada definitiva. […] Volevo raccontare “semplicemente” la paura di un uomo che guarda la donna che ha accanto e si accorge di non sapere assolutamente chi sia e quindi  ha chiaramente e nello stesso momento il terrore di perderla. Naturalmente questo terrore passa attraverso la possibilità di un tradimento ed ecco dove viene messo in gioco il corpo. Il corpo di quella donna diventa Il Corpo che scatena ossessioni. Ma in fondo la sua è una paura più antica, assomiglia a qualcosa che ha a che fare con la perdita, con la morte. […] Comunque sarebbe meglio dire: è un viaggio. E a quel punto uno sa che cosa aspettarsi. […] Sono stata nei locali di scambisti ed è lì che ho sentito questo senso esasperante di morte, una lentezza quasi rituale di gesti sessuali di uomini e donne senza volto. Corridoi bui e buchi dove guardare. E tutto in un silenzio irreale.». Parlando dei protagonisti Luigi Lo Cascio e Anna Mouglalis, ha detto tra l'altro Roberta Torre: «Con gli attori mi piace che siano anche i loro lati autentici a mescolarsi con quelli del personaggio, che si mettano in gioco il più possibile, che si compromettano sul piano personale. Ho capito che entrambi l’avrebbero fatto pur partendo da esperienze e tecniche diverse.». In questa stessa intervista, Roberta Torre si è lamentata della mancanza di libertà del cinema odierno: «Oggi quella libertà si è totalmente perduta stritolata dall’utopia degli incassi (che spesso non ci sono comunque) e, quel che è più grave, da una sorta di censura preventiva e sottile operata su argomenti e sceneggiature. […] Non si può raccontare la violenza, non si può  mostrare mai nulla che sia vero, reale, doloroso, umano. Il lato oscuro della realtà, la passione deve scomparire a favore di una visione addomesticata e ipocrita. […] credo che viviamo in un periodo di fortissima censura. La cosa grave è che è così scontata che viene considerato normale. Ormai i criteri di realizzabilità sono criteri televisivi e quindi tutto deve essere uniformato in quel senso.»; la regista parla anche di «un contesto di melassa e rassicuranti sceneggiature paratelevisive»
(http://www.blackmailmag.com/Intervista_a_Roberta_Torre.htm).
Gianni Canova ha parlato di «torbida indagine su un ambiguo omicidio a sfondo sessuale, in cui l'ispettore di polizia L. Lo Cascio è tormentato da morbose pulsioni.» (Cinema, le garzantine, Garzanti, 2009).

Spirito poliedrico, nel 2007, la Torre ha creato una sua casa di produzione, la “Rosettafilm”, con la quale ha realizzato I tiburtinoterzo (2009), dedicato alle borgate romane e allo storico quartiere di Roma. Ha scritto Roberto Rippa: «“Tiburtino terzo è come una riserva indiana”, così dice Daniele – detto “Er porpo” (perché ha “sempre le mani dappertutto”) – per descrivere il suo quartiere. E il Tiburtino terzo, noto quartiere popolare di Roma, è davvero una riserva indiana, dove vivono Daniele, Jari, Emilianino, Massimo e Robertino, ragazzi di vita con il mito della bella vita fatta di soldi facili, cocaina a fiumi e notti passate sul raccordo a guidare senza meta. Sullo sfondo Roma e le sue tante strade, il suo presente e futuro carico di aspettative. Come un miraggio. È un mondo dove il futuro è il tempo che non si sa se verrà mai, dove solo il presente vale e tutto deve essere qui e ora, bruciato in fretta e poi di nuovo a correre sul raccordo. In questa corsa verso non si sa dove i nostri si raccontano, ridono, piangono aspettano, pensano ai sogni di ragazzini e alle aspettative da uomini […] La regista, che confessa un’attrazione morbosa per le periferie, dichiara di non avere pensato di realizzare un film e definisce questi materiali come appunti di lavoro. I tiburtinoterzo è un breve film di grande fascino, testimonianza di parte dell'eredità italiana degli anni '70 che si vorrebbe vedere sviluppata in ancora più sensi e ritratto di un quartiere di Roma da cui la città pare lontanissima. Da vedere, sperando riesca a trovare una distribuzione in Italia e non solo.»
(http://www.rapportoconfidenziale.org/?p=2425).

Sempre prodotto dalla “Rosettafilm”, seguì La notte quando è morto Pasolini (2009), documentario–intervista di Pino Pelosi sulla morte di Pierpaolo Pasolini, che si sviluppa tra i ricordi del passato e un difficile presente, una sintesi del materiale di documentazione raccolto dalla Torre per un lavoro teatrale sul regista friulano ucciso nel 1975.

Nel 2010 Roberta Torre ha prodotto e girato il film I baci mai dati, «un apologo sugli inganni della fanciullezza», storia di un'adolescente catanese che vede la Madonna e sembra poter fare miracoli, con Donatella Finocchiaro, Beppe Fiorello, Carla Marchese, Pino Micol e una partecipazione “straordinaria” (nel senso etimologico della parola) di Piera Degli Esposti. Il film ha aperto al Lido di Venezia la sezione Controcampo Italiano della 67° Mostra di Venezia del 2010, al Sundance Festival di Robert Redford, nel 2011 fu l'unico film italiano in concorso, e ha ottenuto due candidature ai Nastri d'Argento. In un'intervista rilasciata a Venezia da Roberta Torre, l'attrice ha sostenuto di credere ai miracoli e di non temere i critici (non c’entrano niente con il successo o meno di un film); ha aggiunto, inoltre, che in Italia (e anche nel cinema) domina la cultura dell’appartenenza, mentre lei non appartiene a nessuno: «il mio è un film libero» (http://luigilocatelli.wordpress.com/2010/09/01/intervista-a-roberta-torre-domani-a-venezia-con-i-baci-mai-dati/). Ha scritto Laura Frigerio nel suo articolointervista “Donna della Settimana. Roberta Torre alla regia”: «Roberta Torre è una donna che non si ferma mai: attiva su più fronti artistici, passa da un progetto all'altro riuscendo sempre a fare centro.»; alla domanda come le fosse venuta l'idea per questo film, la Torre ha risposto: «È una storia totalmente inventata, tratta da un racconto. Volevo che fosse una sorta di favola ma alla fine è diventata abbastanza cruda. Per l'ambientazione ho scelto un quartiere di periferia, con la giusta connotazione metafisica.» (http://www.alfemminile.com/donne-societa-diritti-della-donna/intervista-roberta-torre-d20130.html).
Ha scritto Domenico Barone (Vivilcinema): «Suggestivo, grottesco ed eccentrico viaggio di formazione di un’adolescente in fuga da un mondo che non comprende e non riconosce, raccontato con ironia ed umorismo nero in un teatro dell’assurdo popolato da acconciature cotonate, volti deformati dal trucco e dall’uso del grandangolo, filtrati dalla comica esasperazione del falso. […] I baci mai dati evita la retorica, sfrutta la radicata attenzione antropologica per i caratteri di un mondo invisibile, rifugio surreale illuminato da luci al neon, in un cinema naif e folcloristico, fragile e corale che resta brillante, eccessivo, ricco di finte bionde, di soffocanti amori materni, unghie laccate, vestiti leopardati e che conquista con la forza dello stupore e l’eterna curiosità per statue e misteri religiosi.»
(http://www.robertatorre.com/).

Dal 2011 la Torre ha in programma di girare il lungometraggio Rose e matematica, ancora in fase di sceneggiatura, incentrato sulla vita del nonno Pier Luigi Torre, ingegnere aeronautico e inventore della Lambretta, dei motori dell'idrovolante della sorvolata atlantica di Italo Balbo e della scatola nera, ma anche di una varietà di “rosa blu” (morto all'età di 80 anni in una casa di cura, Pier Luigi Torre era particolarmente ossessionato dalla rosa blu).

Roberta Torre è anche una originale e sensibile regista teatrale; sono da ricordare: La Ciociara (2010) di Annibale Ruccello con Donatella Finocchiaro,una delle sue attrici preferite (la Torre ha ottenuto una candidatura al Golden Graal come miglior regista), e Uccelli (2012) di Aristofane al Teatro Greco di Siracusa.

Genio multiforme, la regista ha pubblicato nel 2011 il suo primo romanzo dal titolo I baci mai dati (edizioni La Tartaruga), «una sorta di diario onirico, una scrittura joyciana, tra grottesco e drammatico…» (recensione di Roberta Maciocci), ambientato a Librino, estrema e grottesca periferia di Catania, e dedicato a un'adolescente, Manuela, sottoposta a pressioni spaventose per un supposto miracolo che mette in moto tutta una serie di tremende superstizioni (in suo diario intimo, la ragazza si abbandona al “flusso di coscienza”). Conclude Roberta Maciocci: «Il registro linguistico stesso del libro rifugge la caratterizzazione geografica: potrebbe essere una storia ispirata da Calvino, popolata da personaggi, ripeto ancora una volta, felliniani. Uno scenario di speranza, non di degrado, comunque, dice l’autrice, perché la speranza che ci sia qualche posto dove un miracolo possa avvenire è una necessità comune.»
(http://www.diariodipensieripersi.com/2011/07/recensione-i-baci-mai-dati-di-roberta.html).

Nel suo blog su il Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/rtorre/), la regista scrive così: «Sono Roberta Torre faccio film. Come regista, sceneggiatrice e ora anche come produttrice perché voglio far esordire giovani registi prima che diventino vecchi registi. […] Ma è stato un caso. In realtà volevo fare la strizzacervelli. Comunque la voglia di ficcare il naso nella vita degli altri mi è sempre rimasta. Grazie al cinema ho potuto infilarmi nella vita di delinquenti, mafiosi, preti, scambisti, truffatori e molto altro. Uscirne non è stato sempre altrettanto semplice. Ma questo è stato il bello. Sono nata a Milano e poi per un caso ho vissuto a Palermo quindici lunghi anni di pura felicità. Ora vivo a Roma, ma sento che traslocherò ancora. Nei miei film mi piace mescolare tutto: immagini, generi, suoni, corpi, rumori e soprattutto odori.» (www.robertatorre.com e www.rosettafilm.it).

Ha scritto Fabio Secchi Frau: «Roberta Torre è stata considerata la regina dei musical–sceneggiata, molto amata da pubblico e critica per le sue mitiche pellicole che, prendendo piede dalla realtà, spingevano grottescamente la storia vera in quella della dimensione fantastica che le alleggeriva del peso della cronaca nera, consegnando al pubblico dei cult italiani veri e propri: uno su tutti Tano da morire. Poi, però, la Torre cambia gioco e in mezzo a quella grande scacchiera che è il panorama cinematografico cambia e si dirige in una dimensione drammatica e romantica allo stesso tempo. Questa è la mossa della Torre: prendere costantemente in contropiede lo spettatore.» (http://www.mymovies.it/biografia/?r=7450).

In un recente articolo–intervista a Roberta Torre dal titolo “L'alchimista del cinema tra realismo e utopia”, scrive Marisa Labanca: «In un cinema malato di familismo e incapace di esprimere la realtà, credere nell’Utopia significa credere e impegnarsi nella realizzazione di un nuovo “sistema di valori possibili”. […] Una donna determinata, pragmatica e al tempo stesso estrosa e fuori dagli schemi. Un’artista che riconoscendo i limiti reali del cinema italiano contemporaneo, viziato dall’assenza di meritocrazia e da logiche di appartenenza politica e culturale, ne prende le distanze, scegliendo la scrittura prima e l’autoproduzione poi come atti di libertà. La libertà di esprimere la propria visione della realtà, anche negli aspetti più crudeli della mafia e dell’immigrazione, mescolandola con i tratti onirici e stranianti del musical e del teatro. […] Dal 2007 Roberta Torre è anche produttrice dei suoi film attraverso la Rosettafilm, sua casa di produzione creata per evitare che logiche estranee possano influenzare e alterare il risultato finale dei suoi lavori. […] Attualmente la regista e sceneggiatrice è impegnata nel racconto del reale attraverso la riaffermazione dell’Utopia, concetto ormai desueto nella nostra società, intesa non come sogno irrealizzabile, ma come “la possibilità di creare un nuovo sistema di valori possibili”. È questo l’obiettivo comune de Gli Uccelli, di Aristofane, in scena dal prossimo 14 maggio al Teatro Greco di Siracusa, e di Rose e matematica, trasposizione cinematografica della vita dell’inventore Pier Luigi Torre.». A Marisa Labanca, ha confessato la Torre: «È complicato autodefinirsi. Mi piace paragonare il mio lavoro a quello di un alchimista, ogni opera, ogni film per me è un costante e complicato, mai finito lavoro di ricerca, di come elementi apparentemente diversi e inconciliabili possano fondersi insieme dando un risultato, un’opera mai esistita prima, che non assomiglia a nulla di esistente. In questa ricerca credo che risieda la caratteristica fondamentale del mio essere artista. […] La regia è bellissima, ma senza la produzione in Italia è impossibile da gestire. Credo che quello tra regista e produttore debba essere un matrimonio azzeccato. […] Ultimamente mi piace molto dedicare tanto tempo alla sceneggiatura e alla scrittura, proprio perché in passato ho sempre considerato la sceneggiatura solo un mezzo per ottenere finanziamenti, ora invece che mi sono liberata da questo vincolo il mio sguardo è cambiato.». Parlando del cinema italiano, Roberta Torre ha detto: «Passato glorioso, Presente povero, Futuro incerto. […] Il cinema italiano rispecchia piuttosto fedelmente lo stato della nostra Italia tutta. In fondo il cinema in Italia è stato grande e in modo compatto, inequivocabile, nel dopo guerra perché la nazione era spinta da una potente voglia di riscatto. Forse non era un periodo di ricchezza, ma certo c’era una potente speranza e una grande voglia di ricominciare. Il nostro cinema soffre oggi di una pochezza tematica, di un'incapacità di osservazione della realtà e soprattutto soffre di una malattia che ha corroso tutta l'Italia: il familismo. […] Quando ho iniziato a lavorare ho sempre detto che non c’erano differenze di genere. Ora, dopo diversi anni di lotte e guerre per mantenere intatto il mio lavoro, per proteggerlo e preservarlo da varie forme di razzia artistica, produttiva, politica e umana, devo dire che sì c’è una forte discriminazione di genere. E più in generale credo che sia una questione di autorità. L’autorità femminile è mal sopportata. […] Il binomio donna autorevole, quindi decisionale, quindi creatrice di immaginario mal si sposa con l’immagine di una donna femminile e felice di esserlo. In realtà per me è stato semplice affermarmi, più complicato mantenere una posizione che mi garantisse la libertà delle mie scelte artistiche. La libertà è un altro tabù della nostra società. Una pensatrice/artista libera da logiche di appartenenza fa molta paura. […] Credo che in Italia siamo ancora molto indietro rispetto alla possibilità delle donne di essere libere davvero. […]»
(http://www.unosguardoalfemminile.it/wordpress/donne-e-cultura/intervista-a-roberta-torre-lalchimista-del-cinema-tra-realismo-e-utopia).


Francesca Conti e Giorgio Fonio hanno dedicato al cinema irriverente di Roberta Torre il saggio I baci mai dati e altre storie (2011), con un'intervista di Giuseppe Rizzo.

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