giovedì 1 novembre 2012

1. La Bibbia, amori e passioni


Locandine   La Bibbia (J. Houston)             Sansone e Dalila (C.B. DeMille)


La Bibbia è una fonte inesauribile di amori struggenti e passioni peccaminose, di conflitti drammatici e forti sentimenti, di vili tradimenti e brutali tragedie, di aspri rimpianti e vendette mostruose.

Andando in ordine cronologico, ricordo la Genesi (il primo libro del Pentateutico della Bibbia, forse opera di Mosè), che narra la creazione, il peccato di Adamo ed Eva, il diluvio e la storia di Abramo. All’inizio della vicenda umana, questo libro stupefacente ci narra l’amore e la tragedia esistenziale di Adamo ed Eva (la sposa plasmata da una costola di lui), eguali eppure diversi, entrambi creati a “immagine e somiglianza” di Dio: «[…] Allora l’uomo disse: / “Questa volta essa / è carne dalla mia carne / e osso dalle mie ossa. / La si chiamerà donna / perché dall’uomo è stata tolta”. / Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.» (2. Creazione della donna.). Quando, ingannata dal serpente, Eva mangia la mela – il frutto proibito e l’elemento di perdizione del genere umano – e poi la porge a Adamo che era con lei e anch’egli ne mangia: «[…] Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. […]» (3. Tentazione e caduta.).

Nella “Genesi”, sono narrati anche l’amore sterile di Abramo e Sara e quello, benedetto dalla nascita d’Ismaele, tra Abramo e Agar, la schiava egiziana data in moglie ad Abramo dalla stessa Sara. Dopo 13 anni, però, Dio benedirà il vuoto matrimonio dei due anziani coniugi Abramo e Sara con la nascita d’Isacco. E sempre in questo Libro, come dimenticare il quieto amore tra Isacco e Rebecca («La giovinetta era molto bella d’aspetto, era vergine, nessun uomo le si era unito», 24. Incontro con Rebecca.) e il loro romantico incontro, segnato dall’incantamento degli sguardi nonostante che il loro matrimonio fosse un’unione combinata dai genitori: «[…] Isacco uscì sul far della sera per svagarsi in campagna, e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli. Alzò gli occhi anche Rebecca, vide Isacco e scese subito dal cammello. […] Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l’amò. […]» (24. Rebecca accetta di diventare sposa di Isacco.).

E che dire dell’amore di Giacobbe – il figlio d’Isacco – e Rachele, ostacolato da Labano, il padre di lei e zio materno di lui. Bisogna premettere che Giacobbe era fratello gemello di Esaù (nato per primo e favorito di Isacco, divenuto un cacciatore mentre il gemello era un uomo tranquillo che seguiva Dio). Con un primo inganno Giacobbe riuscì ad acquistare da Esaù la primogenitura, una volta che era affamato, in cambio di un piatto di lenticchie (Genesi 25, 29-34). Con un secondo inganno, quando Isacco in punto di morte avrebbe dovuto benedire Esaù, Giacobbe si sostituì al gemello indossando una pelle di animale per simulare il fratello piuttosto peloso. Per sfuggire l'ira di Esaù, Giacobbe era poi scappato dallo zio Labano. Durante la fuga, aveva fatto un sogno profetico: una scala congiungeva la terra col cielo e su di essa gli angeli salivano e scendevano; intanto Dio parlava con Giacobbe promettendo – a lui che gli era devoto – la terra sulla quale stava dormendo e un'immensa discendenza (Giacobbe chiamò quella terra Betel, Bet–El, ossia “casa del Padre”): «Io sono il Signore, il Dio di Abramo e di tuo padre Isacco; darò questa terra a te e ai tuoi discendenti. Essi saranno numerosi come la polvere della terra.». Arrivato dallo zio Labano, Giacobbe si era innamorato della figlia Rachele, fanciulla bellissima, ma il padre per dargliela in matrimonio volle che lo servisse per ben sette anni.

«Ora Labano aveva due figlie; la maggiore si chiamava Lia e la più piccola si chiamava Rachele. Lia aveva gli occhi smorti, mentre Rachele era bella di forme e avvenente di aspetto, perciò Giacobbe amava Rachele. Disse dunque: “Io ti servirò sette anni per Rachele, tua figlia minore”. […] Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore per lei.». Combinato il matrimonio, viene organizzata la festa nuziale: «Ma quando fu sera, egli prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei. […] Quando fu mattina… ecco era Lia! Allora Giacobbe disse a Labano: “Che mi hai fatto? Non è forse per Rachele che sono stato al tuo servizio? Perché mi hai ingannato?”. Rispose Labano: “Non si usa far così nel nostro paese, dare, cioè, la più piccola prima della maggiore. Finisci questa settimana nuziale, poi ti darò anche quest’altra per il servizio che presterai presso di me per altri sette anni”. Giacobbe fece così: terminò la settimana nuziale e allora Labano gli diede in moglie la figlia Rachele. […] Egli si unì anche a Rachele e amò Rachele più di Lia. Fu ancora al servizio di lui per altri sette anni.» (29. Giacobbe sposa Lia e Rachele.). Ma Jahvè – che punisce la superbia – rese sterile il grembo di Rachele (troppo avvenente e fiera dell’amore del marito) mentre volle arricchire di molti figli il grembo di Lia (meno bella e meno amata). Dalle due mogli e dalle ancelle Giacobbe ebbe complessivamente dodici figli, che daranno origine alle dodici tribù di Israele. Alla fine, fece pace con Esaù. Tutta questa narrazione è caratterizzata da una forte incisività e da un linguaggio semplice ma pieno di fascino e folclore.

Nel Libro dei Giudici (che erano i capi militari e politici, ai quali Dio si era affidato tra il 1200 e il 1025 a.C. per placare le tribù d’Israele), è narrato l’amore funesto di Sansone per Dalila. Nato da madre sterile e benedetto da Dio, Sansone aveva la sua grande forza nei capelli e approfittando di questa forza aveva sgominato i Filistei: «In seguito si innamorò di una donna della valle di Sorek, Dalila. Allora i capi dei Filistei andarono da lei e le dissero: “Seducilo e vedi da dove proviene la sua forza così grande e come potremmo prevalere su di lui per legarlo e domarlo; ti daremo ciascuno mille e cento sicli d’argento” […]». Sansone è molto innamorato, e Dalila gli chiede in continuazione il segreto della sua forza; egli tenta in vari modi d’imbrogliarla ma Dalila si lamenta: «[…] Come puoi dirmi: Ti amo, mentre il tuo cuore non è con me?». Alla fine, costretto a cedere alle lusinghe dell’amore e alle pressioni di Dalila, le svela ingenuamente il suo grande segreto: «Allora Dalila vide che egli le aveva aperto tutto il suo cuore, mandò a chiamare i capi dei Filistei e fece dir loro: “Venite su questa volta, perché egli mi ha aperto tutto il suo cuore”. Allora i capi dei Filistei vennero da lei e portarono con sé il denaro. Essa lo addormentò sulle sue ginocchia, chiamò un uomo adatto e gli fece radere le sette trecce del capo. Egli cominciò a infiacchirsi e la sua forza si ritirò da lui. […] I Filistei lo presero e gli cavarono gli occhi; lo fecero scendere a Gaza e lo legarono con catene di rame. Egli dovette girare la macina nella prigione.» (16. Sansone tradito da Dalila.). Quando iniziano a ricrescere i capelli, Sansone si fa portare a una festa dei Filistei, in una casa che sulla terrazza ospitava tutti i capi e circa tremila persone; con l’aiuto di Dio afferra con forza due colonne portanti, dicendo: «Che io muoia insieme con i Filistei!» (16. Morte di Sansone.). Fa così rovinare la casa addosso ai capi e al tutto il popolo, causando anche la propria morte. Nella storia di Sansone e Dalila c’è qualcosa di metaforico che potrebbe valere ancora oggi: il forte potere di seduzione della donna, che può distruggere o annullare il senno e i poteri dell’uomo. 

Nel libretto Rut – considerato dal punto di vista della critica letteraria un “gioiello della Bibbia” – si narra l’amore di Booz e Rut, progenitori di Davide e del Messia. Rut è una straniera appartenente a un popolo nemico di quello d’Israele ed è la vedova di un figlio di Noemi, originaria di Betlemme. Noemi decide di ritornare a Betlemme, da dove s’era allontanata molti anni prima a causa di una carestia; Rut, nuora affettuosa e fedele, non vuole lasciare Noemi e rinuncia a un altro possibile vantaggioso matrimonio. Per procurare il cibo a entrambe, Rut va a spigolare nel campo di Booz, un parente ricco (e non più giovanissimo) della suocera. Booz incontra Rut sull’aia e le dimostra confidenza e affetto, anche perché è affascinato dalle sue virtù morali. Noemi viene a saperlo e, poiché nella serata Booz avrebbe dovuto ventilare l’orzo sull’aia, suggerisce a Rut una spinta strategia di seduzione (inaudita per una vedova ebrea, timorata di Dio): «[…] Su dunque, profumati, avvolgiti nel tuo manto e scendi all’aia; ma non ti far riconoscere da lui, prima che egli abbia finito di mangiare e di bere. Quando andrà a dormire, osserva il luogo dove egli dorme; poi va’, alzagli la coperta dalla parte dei piedi e mettiti lì a giacere; ti dirà lui ciò che dovrai fare.». Rut fa tutto come le è stato suggerito da Noemi: «Verso mezzanotte quell’uomo si svegliò con un brivido, si guardò attorno ed ecco una donna gli giaceva ai piedi. Le disse: “Chi sei?”. Rispose: “Sono Rut, tua serva; stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai diritto di riscatto.» (3. Noemi propone a Ruth il matrimonio con Booz.). Lusingato, perché è un uomo anziano, Booz la lascia dormire nel suo giaciglio e il mattino dopo si affretta a comprare la casa, i beni e il campo di Noemi, acquistando così anche Rut: «Poi Booz prese Rut, che divenne sua moglie. Egli si unì a lei e il Signore le accordò di concepire […]» (4. Booz sposa Rut.). [Brani tratti da La Sacra Bibbia – Antico Testamento, Edizione Ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana – CEI S.R.L. per il Testo Sacro, Roma 1974]

Con riferimento alle storie d’amore nella Bibbia (compresa quella di Rut) Elena Loewenthal, in Terre promesse – Per non smarrirsi nella Bibbia (“La Stampa web” del 9/11/2003), annota con la sua affascinante scrittura: «è cronaca di storie d’amore che stanno nascoste sotto una coperta, appena prima di cominciare, sull’aia dopo che si è ventilato il grano. E’ storia di viaggi infiniti, verso il fertile Egitto, il roccioso settentrione, e luoghi senza nome. è sequenza di profeti rassegnati alla disfatta della propria voce.».

P.S. La Bibbia ha spesso ispirato il cinema. Molto di quel che ho raccontato è stato rappresentato nel monumentale colossal La Bibbia (The Bible) (1966) di John Huston, una superproduzione non considerata certamente tra i suoi capolavori (il regista prestò il suo talento alla voce narrante – voce italiana, quella stupenda di Arnoldo Foà), produttore Dino De Laurentiis, tra gli sceneggiatori Vittorio Bonicelli, Mario Soldati e Orson Welles, fotografia di Giuseppe Rotunno, con Michael Parks (Adamo), Ulla Bergryd (Eva), Richard Harris (Caino), Franco Nero (Abele), John Huston (Noè e Dio), Pupella Maggio (moglie di Noè), Peter O´Toole (uno dei tre angeli), George C. Scott (Abramo), Ava Gardner (Sara), Zoe Sallis (Agar), Gabriele Ferzetti (Lot) ed Eleonora Rossi Drago (la moglie di Lot). Diviso in due parti, il film non ha portato sullo schermo l'intera Bibbia ma soltanto i primi ventidue capitoli del Libro della Genesi. Laura, Luisa e Morando Morandini (ne il Morandini, Zanichelli editore) scrivono: «Colosso mitico–religioso hollywoodiano in salsa italiana con alcune sequenze di alta suggestione spettacolare (l'arca di Noè, la torre di Babele). Non è difficile per i fan di Huston individuarvi le costanti tematiche e stilistiche dell'agnostico regista americano; agli altri basta lo spettacolo.». I Morandini riportano anche che J. Huston disse: «le autorità ecclesiastiche hanno così paura delle controversie dogmatiche che preferiscono vedere un ateo che filma la Genesi piuttosto che affidarlo a un cattolico, sono persuaso che se non avessero trovato un ateo si sarebbero accontentati di un ebreo». Il film vinse due David di Donatello nel 1966 (per il miglior produttore e regista straniero) e il Nastro d'argento (per la miglior scenografia).

Da ricordare anche La Bibbia – Giacobbe (Jacob) (1994), film TV di Peter Hall con Matthew Modine (Giacobbe), Sean Bean (Esaù), Irene Papas (Rebecca), Giancarlo Giannini (Labano) e Cecilia Dazzi (Billah). Ricostruisce in modo dettagliato e minuzioso la biografia di questo personaggio biblico, i suoi conflitti con Dio e la sua grande fede, puntualizzando la lotta con il fratello Esaù per la discendenza (a causa della quale è costretto ad abbandonare la sua casa) e la storia d'amore con Rachele, che riesce a prevalere nonostante gli ostacoli di Labano e i lunghi anni di drammatica sottomissione. La fede incrollabile di Giacobbe in Dio ne farà l'erede dell'Alleanza tra Jahvè e Abramo.


Un notevole film Sansone e Dalila (Samson and Delilah) (1949) è stato girato da Cecil B. DeMille, con Victor Mature (Sansone) e Hedy Lamarr (Dalila); narra con maggior dettaglio la storia già raccontata. Le coreografie del film, molto belle, furono curate dal danzatore e coreografo Theodore Kosloff. Pur essendo tratto dalla Bibbia (Libro dei Giudici, capitoli 13-16) e raccontando una materia nobile, il film creò al regista DeMille problemi di censura per le scene di sangue e di sesso, forti e spinte per l'epoca. Questo film fu la prima di tre produzioni mastodontiche con le quali il regista concluse la sua carriera: le altre furono Il più grande spettacolo del mondo (1951) e I dieci comandamenti (1956). Si racconta che – dovendo controllare migliaia di comparse e talora migliaia di animali –, dirigeva dall'alto di una piattaforma, armato di megafono e comunicando via radiotelefono con i suoi molteplici aiuto–registi sparsi per il set. Era certamente stato influenzato nella sua opera dagli epici film del cinema muto italiano e è stato osservato dalla critica che «la sua personalità dispotica e accentratrice aveva bisogno di affermazioni grandiose ed era in grado di esprimersi sul piano professionale solo in superproduzioni fastose e non certo in buoni film a basso costo» (“Cecil B. DeMille”, Il Cinema – Grande storia illustrata, vol. 2, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981). E il regista è oggi ricordato soltanto per queste sue grandiose eccentricità cinematografiche considerate come «pretenziose e tronfie volgarità» (così si era espresso il critico James Age). Questo film fu il precursore dei film epici degli anni Cinquanta e gli effetti speciali furono creati da Gordon Jennings, che impiegò quasi un anno di lavoro per realizzare la complicata scenografia (costata 100.000 dollari) dell'idolo filisteo di Dagon e delle due colonne (costruiti in scala 1:3, ma sempre altissimi: l'uno 5 metri e le altre 11 metri); la sequenza finale risultò tuttavia molto convincente e possente, e Jennings venne candidato all'Oscar (“Gli effetti speciali del cinema epico”, Il Cinema – Grande storia illustrata, vol. 4). Il film iniziò anche l'epoca d'ora di Hollywood in fatto di spettacolarità biblica, anche se il film Sansone e Dalila procurò «una certa dose di critiche e di scherno… e d'incomprensibile scetticismo» (“Il cinema epico– religioso”, Il Cinema – Grande storia illustrata, vol. 9). Hanno commentato Laura, Luisa e Morando Morandini: «È, forse, il più assurdo e delirante tra i colossi biblici di Hollywood. Ignorarlo sarebbe stolto quasi quanto prenderlo sul serio. La mano del regista è elegante. Notevole il seno di V. Mature, più imponente di quello di H. Lamarr. Oscar per scene e costumi.» (ne il Morandini, Zanichelli editore).

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