lunedì 5 novembre 2012

2. La Bibbia, amore e passioni


 Davide e Betsabea           Salomone e la Regina di Saba     



  Giuditta e Oloferne 


Continuo il discorso de La Bibbia quale magico libro, fonte di amori struggenti e passioni travolgenti, di tradimenti brutali e tragiche vendette ma anche di amore coniugale sereno e responsabile.

Nel Primo libro di Samuele (1040-970 a.C.) si narra di Elkana e Anna, i genitori di Samuele, ultimo “giudice” d’Israele e primo grande profeta oltre che guida spirituale del popolo eletto: «C’era un uomo di Ramataim, […], chiamato Elkana, […]. Aveva due mogli, una chiamata Anna, l’altra Peninna. Peninna aveva figli mentre Anna non ne aveva. […] ma egli amava Anna, sebbene il Signore ne avesse reso sterile il grembo. […]». Peninna umiliava Anna in continuazione e, mortificata, Anna piangeva e non prendeva cibo: «Elkana suo marito le disse: “Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?”» (1. Famiglia di Samuele.). Anna decise allora di fare un voto a Dio, promettendo che – se le fosse dato un figlio maschio – l’avrebbe offerto al Signore per tutti i giorni della sua vita: «[…] Elkana si unì a sua moglie e il Signore si ricordò di lei. Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele.» (1. Nascita di Samuele.).

In questo stesso libro è narrato anche il grande affetto tra Davide e Gionata: Davide è un pastorello giovane e povero, «fulvo, con begli occhi e gentile d’aspetto», ed è colui che abbatterà il terribile Golia (un campione filisteo «alto sei cubiti e un palmo»). è stato scelto da Dio, ma è odiato dall’orgoglioso e arrogante re Saul che si ritiene «nemico di Davide per tutti i suoi giorni» e che lo perseguita a lungo perché ne teme il potere. Gionata è il figlio di Saul e ama Davide, e parla sempre in suo favore, e lo protegge da tutti gli inganni e i tradimenti del padre. Questo grande affetto era forse un sentimento virile, forse un amore omosessuale. Scrive, infatti, Samuele: «Quando Davide ebbe finito di parlare con Saul, l’anima di Gionata s’era già talmente legata all’anima di Davide, che Gionata lo amò come se stesso. […] Gionata strinse con Davide un patto, perché lo amava, come se stesso. Gionata si tolse il mantello che indossava e lo diede a Davide e vi aggiunse i suoi abiti, la sua spada, il suo arco e la cintura. […]» (18. Amicizia di Gionata con Davide.). Davide divenne inviso a Saul che era geloso e «[…] Gionata volle ancora giurare a Davide perché gli voleva bene e lo amava come se stesso. […] Saul si adirò molto con Gionata e gli gridò: “Figlio d’una donna perduta, non so io forse che tu prendi le parti del figlio di Iesse, a tua vergogna e a vergogna della nudità di tua madre? […]» (20. Gionata intercede per Davide.). In effetti, alcuni traducono l’innocuo «prendi le parti» con il più forte «sei l’amante»!

Nel Secondo Libro di Samuele, dopo la morte di Saul e dei suoi figli (incluso Gionata) per opera dei Filistei, nell’elegia di Davide, è scritto: «[…] / Saul e Gionata, amabili e gentili, / né in vita né in morte furon divisi; / erano più veloci delle aquile, / più forti dei leoni. / […] / Perché son caduti gli eroi / in mezzo alla battaglia? / Gionata, per la tua morte sento dolore, / l’angoscia mi stringe per te, / fratello mio Gionata! / Tu mi eri molto caro; / e la tua amicizia era per me preziosa / più che amore di donna. / Perché son caduti gli eroi / son periti quei fulmini di guerra?» (1. Elegia di Davide su Saul e Gionata.). Anche in questo caso, alcuni traducono la più blanda frase «la tua amicizia era per me preziosa più che amore di donna» con la più infuocata frase «il tuo amore era per me più meraviglioso dell’amore delle donne».

In questo libro è narrato ancora l’amore peccaminoso tra Davide e Betsabea. Scrive il profeta: «[…] Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dall’alto di questa terrazza egli vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella di aspetto. Davide mandò a informarsi chi fosse la donna. Gli fu detto: “è Betsabea, figlia di Eliam, moglie di Uria l’Hittita”. Allora Davide mandò messaggeri a prenderla. Essa andò da lui ed egli giacque con lei, che si era appena purificata dalla immondezza. Poi essa tornò a casa. La donna concepì e fece sapere a Davide: “Sono incinta”». Davide progettò allora un orribile delitto: mandò in guerra Uria, marito di Betsabea e suo fedele capitano, predisponendo che fosse schierato in prima fila (là dove il nemico è più valoroso), perché fosse abbattuto e morisse. E così appunto avvenne e Uria morì per spada degli Ammoniti ma per colpa dell’inganno di Davide: «La moglie di Uria, saputo che Uria suo marito era morto, fece il lamento per il suo signore. Passati i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere e l’accolse nella sua casa. Essa diventò sua moglie e gli partorì un figlio. Ma ciò che Davide aveva fatto era male agli occhi del Signore.» (11. Duplice peccato di Davide.). Il Dio d’Israele comandò che il figlio nato morisse. Dopo la morte del bambino, Davide si pentì e si prostrò davanti al Signore, ricevendone il perdono: «Poi Davide consolò Betsabea sua moglie, andando da lei e unendosi a lei: essa partorì un figlio che egli chiamò Salomone. Il Signore amò Salomone […]» (12. Nascita di Salomone.). Questo brano biblico esemplifica bene sin dove può arrivare la forza perversa di una passione amorosa e sin dove l’amore per una donna può condurre un uomo, pur giusto nell’animo.

Nel libro Tobia, d’autore anonimo e scritto in lingua ebraica o aramaica (V-III s. a.C.), si narra una storia squisitamente familiare e privata. Tobi è totalmente privo della vista ma è rimasto «fedele a Dio con tutto il cuore»; vive in esilio a Ninive con il giovane figlio Tobia. Tobi manda Tobia nella Media per recuperare una somma di denaro. Grazie all’intervento dell’angelo Raffaele (apparso sotto le mentite spoglie di un giovane amico ebreo), il destino di Tobia s’incrocia con quello dell’infelice cugina Sara che «era stata data in moglie a sette uomini e che Asmodeo, il cattivo demonio, glieli aveva uccisi prima che potessero unirsi con lei come si fa con le mogli.» (3. Sventure e preghiera di Sara.). Per questa maledizione, Sara era stata umiliata tanto da meditare addirittura il suicidio. Raffaele spinge Tobia al matrimonio ma Tobia ha paura del demonio e della sua gelosia che lo porta a uccidere chiunque si accosti a Sara. Raffaele insiste: «[…] Non temere: essa ti è stata destinata sin dall’eternità. Sarai tu a salvarla. Ti seguirà e penso che da lei avrai figli che saranno per te come fratelli. Non stare in pensiero. Quando Tobia sentì le parole di Raffaele e seppe che Sara era sua consanguinea della stirpe della famiglia di suo padre, l’amò al punto da non saper più distogliere il cuore da lei» (6. Raffaele parla a Tobia di Sara.). Raffaele spiega, inoltre, a Tobia un trucco grazie al quale può contrastare Asmodeo. Sara viene concessa in sposa dal padre Raguele a Tobia «secondo la legge e il decreto scritto nel libro di Mosè» e – messo in atto lo stratagemma suggeritogli da Raffaele per liberarsi dal demonio – prima di dormire insieme con Sara, Tobia prega Dio: «[…] Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e sostegno. Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: non è cosa buona che l’uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui. Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con rettitudine d’intenzione. Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia. E dissero insieme: “Amen, amen!”. Poi dormirono per tutta la notte.» (8. Preghiera di Tobia e di Sara.). I parenti, già pronti per il seppellimento di Tobia, scoprono invece con lieta sorpresa che lo sposo è vivo e che i giovani sono innamorati e felici. Tobia e Sara ritornano a Ninive e sono accolti con gioia da Tobi, che riacquista la vista. In questo libro, l’amore è la metafora di un aspro viaggio da compiere, di un duro cammino da percorrere per cogliere la felicità, una volta arrivati alla meta. [Brani tratti da La Sacra Bibbia – Antico Testamento, Edizione Ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana – CEI S.R.L. per il Testo Sacro, Roma 1974] La storia di Tobia e Sara viene utilizzata nell’itinerario di fede per i giovani sposi, quale progetto anche sessuale di coppia nella sacra Scrittura.

In Terre promesse – La Bibbia letta dal buco della serratura (“La Stampa web” del 23/4/2004), Elena Loewenthal così scrive: «Ma vi sono altri momenti biblici in cui il lettore incontra persone in carne e ossa, alle prese con sentimenti tanto comuni quanto irrinunciabili: l’amore e la nostalgia, l’inquietudine e la felicità. […] qui troviamo un vecchio cieco e angustiato, un figlio che parte per una lontana destinazione. Cerca qualcosa che forse troverà, ma troverà soprattutto la donna della sua vita, la giovane Sara che ha perso già sette mariti la prima notte di nozze per colpa del demonio Asmodeo. Tobia sconfiggerà quest’ultimo e il lieto fine avrà la meglio su tutti.».  

Nel libro, o meglio libretto, Giuditta (pubblicato in greco alla fine del II secolo a.C.) è narrato invece l’amore ingannevole tra Giuditta e Oloferne (generale di Nabucodonosor, re dell’Assiria). La virtuosa Giuditta – «rimasta nella sua casa in stato di vedovanza ed erano passati già tre anni e quattro mesi. […] Era bella d’aspetto e molto avvenente nella persona […]» – con gran coraggio ha deciso di mettere in atto una terribile trappola allo scopo di salvare la città palestinese di Betulia dall’assedio di Oloferne. Ha proposto, perciò, agli anziani un’azzardata impresa, della quale però non ha voluto dir nulla. Dopo aver pregato Dio (il «salvatore dei disperati»), chiama la sua ancella: «[…] Qui si tolse il sacco di cui era rivestita, depose le vesti di vedova, poi lavò con acqua il corpo e lo unse con profumo denso; spartì i capelli del capo e v’impose il diadema. Poi si mise gli abiti della festa che aveva usato quando era vivo suo marito Manasse. Si mise i sandali ai piedi, cinse le collane e infilò i braccialetti, gli anelli e gli orecchini e ogni altro ornamento che aveva e si rese affascinante agli sguardi di qualunque uomo che l’avesse vista. […]» (10. Giuditta esce da Betulia.). Esce, quindi, dalla porta della città, portando con sé l’ancella e un sacco ricolmo di cibo e bevande. Avvistata dalle sentinelle e portata alla presenza d’Oloferne, inizia ad adularlo chiamandolo «il mio signore», e a vantare «la potenza di lui... l’onore di Nabucodonosor», la sua «saggezza» e le sue «abili astuzie». Gli dice di volergli consegnare la città: «Tu li potrai condurre via come pecore senza pastore e nemmeno un cane abbaierà davanti a te». Oloferne accetta la sua proposta e tutti i suoi ingannevoli stratagemmi; al quarto giorno fa preparare una festa, invitando Giuditta nella sua tenda, e la giovane donna «[…] si adornò delle vesti e di ogni altro ornamento muliebre […] entrò e si adagiò. Il cuore di Oloferne rimase estasiato e si agitò il suo spirito; molto grande era la sua passione per lei; dal giorno in cui l’aveva vista cercava l’occasione di sedurla. Le disse pertanto Oloferne: “Bevi e datti alla gioia con noi”. Giuditta rispose: “Sì, berrò, signore, perché oggi sento dilatarsi la vita in me, più che tutti i giorni che ho vissuto”. Incominciò quindi a mangiare e a bere davanti a lui ciò che le aveva preparato l’ancella. Oloferne si deliziò della presenza di lei e bevve abbondantemente tanto vino quanto non ne aveva mai bevuto in un sol giorno da quando era al mondo.» (12. Giuditta al banchetto di Oloferne.). «Quando si fece buio, i suoi servi si affrettarono a ritirarsi. […] e ognuno andò al proprio giaciglio; in realtà erano tutti fiaccati, perché il bere era stato eccessivo. Rimase solo Giuditta nella tenda e Oloferne buttato sul divano, ubriaco fradicio.». Dopo aver chiesto protezione a Dio, Giuditta prende la scimitarra d’Oloferne e «con tutta la sua forza di cui era capace lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa»; la porge quindi all’ancella che la nascose nella sua bisaccia, ed entrambe escono dalla tenda ritornando a Betulia. (13. Giuditta taglia la testa ad Oloferne.) Qui giunta: «Estrasse allora la testa dalla bisaccia e la mise in mostra dicendo loro: “Ecco la testa di Oloferne, comandante supremo dell’esercito assiro; ecco le cortine sotto le quali giaceva ubriaco; Dio l’ha colpito per mano di donna. […]» (13. Giuditta mostra la testa di Oloferne.). Ah, il tragico potere delle armi della seduzione femminile e l’ingenua debolezza dell’uomo di fronte all’incanto della donna bella e affascinante!

P.S. La storia di Davide, ha ispirato numerosi film. Ricordo:
1. Davide e Betsabea (1951) di Henry King con Gregory Peck (Davide) e Susan Hayward (Betsabea), il solito film biblico hollywoodiano spettacolare che usava al meglio il technicolor e sfruttava la prestanza di un giovane Gregory Peck e la bellezza incantevole di Susan Hayward.
2. Salomone e la Regina di Saba (1959) di King Vidor con Finlay Currie (il vecchio Davide), Yul Brynner (Salomone) e Gina Lollobrigida (la Regina di Saba). Hanno scritto i Morandini: «Tyrone Power morì a metà delle riprese e Yul Brynner lo sostituì, sbagliando l'impostazione del personaggio in chiave di forza e di dominio invece che sul conflitto tra dovere e piacere. Qualche scena memorabile (la battaglia finale con la trovata degli scudi dorati) non riscatta la sua natura di digest hollywoodiano.»
(http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=21397).
3. Saul e David (1964), film di produzione italo–spagnola di Marcello Baldi con Norman Wooland (Saul), Gianni Garko (Davide) ed Elisa Cegani (Akhinoam).
4. King David (1985) di Bruce Beresford con Richard Gere (Davide), Edward Woodward (Saul) e Alice Krige (Betsabea). Hanno commentato i Morandini: «Da una sceneggiatura che attinge ai libri di Samuele, ai Paralipomeni e ai Salmi l'australiano Beresford tenta di staccarsi dai “colossi” storico–religiosi hollywoodiani, riuscendovi soltanto in parte. Esterni in Sardegna esaltati dalla fotografia di Donald McAlpine, pregevoli i contributi di K. Adam (scene) e J. Mollo (costumi). Più del medio Gere spicca Woodward, re Saul di epico spessore.»
(http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=12605).

Diversi film furono anche ispirati dalla storia di Giuditta e Oloferne:
1. Giuditta e Oloferne (1929) film muto di grande forza espressiva di Baldassarre Negroni con Jia Ruskaja (Giuditta) e Bartolomeo Pagano (Oloferne).
2. Giuditta e Oloferne (1958) di Fernando Cerchio (produzione italo–francese) con Massimo Girotti (Oloferne) e Isabelle Corey (Giuditta), un film ingenuo, dalla regia debole e dalla recitazione insoddisfacente.


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