martedì 27 novembre 2012

Eugène Ionesco e il Teatro dell'assurdo


Eugène Ionesco


Cento anni addietro (il 26 novembre del 1912) nasceva il grande commediografo francese di origini rumene Eugène Ionesco (nato Eugen Ionescu, morì a Parigi il 28 marzo del 1994) vedere il mio post del 2 novembre del 2011 per dettagli biografici. In effetti l'età della nascita di Ionesco appare piuttosto controversa, perché diverse fonti (tra cui l'Enciclopedia britannica) lo danno nato nel 1909. Questa ricorrenza è, però, soltanto un pretesto per parlare del Teatro dell'assurdo.

Già Alfred Jarry (1873-1907), il creatore della saga di Ubu – che tentò di vivere una realtà ammantata dalla sua visionaria avventura letteraria (negli ultimi mesi di vita parlava come Ubu e firmava le sue lettere col nome Ubu) – aveva aperto la strada al Teatro dell'assurdo, nascondendo la sua disperazione esistenziale nella distorsione dell'uomo e della società allo specchio deformante di una rappresentazione grottesca, così anticipando il Surrealismo dadaista. Un “fil rouge” lega senz'altro Ionesco al grande Jarry che, per primo, iniziò a disgregare il teatro borghese realista di fine Ottocento servendosi della parodia e del grottesco.

Ionesco incontrò quel “nouveau théâtre”, che – radicalmente opposto al realismo – sovvertiva la scena parigina ed europea del secondo dopoguerra, e lo fece suo in «una frantumazione del tutto esteriore»; egli preferì, però, parlare di “teatro della derisione” perché nel suo teatro – con l'insensatezza e la ripetitività dei suoi dialoghi e con la successione di eventi privi di significato – aveva privilegiato l'a­spetto ridicolo e l'humour acido dell'esistere disperato dell'uomo moderno in una società umana priva di realtà e svuotata nella disgregazione. In un suo saggio su Kafka, Ionesco aveva scritto: «recise le sue radici religiose, metafisiche e trascendentali, l'uomo è perduto; tutte le sue azioni diventano insensate, ridicole, inutili» e, in occasione della sua prima pièce La Cantatrice Calva (La Cantatrice chauve) (1950), aveva parlato di «tragedia del linguaggio». E non si debbono dimenticare Jean Vauthier (1910-1992) con il suo Capitaine Bada (1950), il quale aveva privilegiato la ricerca interiore di tipo poetico– onirico e i valori del gesto e del ritmo, e Jean Genet (1910-1986), scoperto da Jean Paul Sartre – nel suo saggio San Genet, commediante e martire del 1952, Sartre ne glorificò la “primitiva ingenuità” e il “ragionatissimo mimetismo da grande guitto” – , il quale aveva detto di voltare le spalle all'Essere per abitare il Nulla e di preferire l'Immaginazione al Realtà (da ricordare Le cameriere - Les Bonnes del 1947). E neppure bisogna dimenticare Arthur Adamov (1908-1970), drammaturgo francese di origine armena, considerato uno dei padri del teatro dell'assurdo: con i suoi drammi satirico–grotteschi (da ricordare soprattutto La Parodie del 1949), ha riportato la dissacrazione del linguaggio e la distorsione delle regole teatrali a un esplicito e «violento» intento polemico socio–politico.

Il termine di “Teatro dell’assurdo” fu coniato dal critico e drammaturgo anglo–ungarico Martin Esslin (1918-2002), che nel 1961 aveva pubblicato The Theatre of the Absurd, nel quale scriveva: «per la prima volta l'Assurdo filosofico e l'Assurdo poetico e scenico sono perfettamente fusi». Con quel termine si definì lo stile teatrale di quei drammaturghi europei (e non solo) che tra gli anni 40–60 realizzarono nell'arte drammatica il concetto filosofico esistenzialista dell'assurdità del­l'esistenza, sulla via segnata dagli scritti di Jean-Paul Sartre e Albert Camus. Il “Théâtre de l’absurde” ha, quindi, una chiara origine geografica nella Parigi dell'avanguardia e nei teatrini de “la Rive gauche”, prevalentemente del “Quartier latin”.

Quasi contemporaneamente, l'irlandese Samuel Beckett (1906-1989) distruggeva il linguaggio col silenzio ma in una grande ricchezza di «densità letteraria ed esistenziale» nel suo Aspettando Godot (Waiting for Godot) (1953) – e il nucleo dell'opera stava nella battuta: «Non succede nulla, non viene nessuno, nessuno se ne va, è terribile». Quel “fil rouge” legava anche Harold Pinter (1930-2008) in Inghilterra che – amico ed estimatore di Beckett – esordì nel 1957 con l'atto unico La stanza (The Room) ed Edward Albee (1928-) negli Stati Uniti – vincitore di tre premi Pulitzer – che (ispirandosi a Ionesco) nel suo dramma Chi ha paura di Virginia Woolf? (Who's Afraid of Virginia Woolf?) (1962) svelava la drammatica solitudine dell'uomo nascosta sotto la crosta dell'ipocrisia piccolo–borghese. E forse sarebbe anche da ricordare come partecipe del teatro dell'assurdo l'autore italiano Achille Campanile, il quale però mai accettò però questo legame.

Nel Teatro dell'assurdo l'autore, deliberatamente, decideva di non utilizzare la costruzione tradizionale drammaturgica e il logico linguaggio razionale per accettare soltanto una traccia labile che univa eventi effimeri (spesso non accadeva nulla) o stati d'animo senza alcun significato apparente (i personaggi spesso non avevano identità), entrambi espressi attraverso dialoghi ripetitivi, sconnessi e insensati, eppur capaci di suscitare un sentimento del tragico. Il “Théâtre de l’absurde” non fu però né un movimento né una scuola, essendo tutti gli autori che ne facevano parte degli individualisti “estremi” e costituendo un gruppo quanto mai eterogeneo (ciò che avevano in comune era il non appartenere al contesto borghese e il rifiuto totale del teatro tradizionale borghese).

A proposito di quei drammaturghi considerati appartenenti al Teatro dell'assurdo, è stato  commentato: «I loro testi teatrali non intendono trasmettere delle informazioni, né presentare i problemi o i destini di personaggi, né esporre tesi o discutere ideologie, ma solo tradurre in un coerente “reticolo” di immagini poetiche la realtà interiore dell'autore. Altrettanto significativa è la posizione verso il linguaggio; ma è in essa che si rivela la fragilità della etichetta comune. […] Il teatro dell'assurdo ebbe grande fortuna presso il pubblico e presso i teatranti, ma scarsa influenza nello sviluppo delle nuove forme teatrali.» (La Nuova Enciclopedia della Letteratura Garzanti, Garzanti Editore, 1985). 

Lungi dal costituire un gioco senza senso (come può sembrare in apparenza), il Teatro dell'assurdo lacerava il conformismo e le banalità che minavano l'individualità dell'uomo e che esprimevano l'incapacità umana a comunicare. Lo stesso Ionesco sapeva che il suo teatro assolutamente comico, le sue anti–commedie, il suo anti–teatro, le sue farse tragiche nascevano da una visione pessimistica dell'esistenza, caratterizzata da solitudine, isolamento e impossibilità a comunicare con gli altri, e soffocata dal conformismo della società, dall'incertezza della propria identità – i personaggi sono spesso ridotti al ruolo di “pantins” (marionette) – e dall'angosciosa paura della morte. Certamente i protagonisti di questo teatro erano soprattutto degli anti–eroi e dei mediocri alle prese con la loro miseria metafisica, in un mondo ostile e in un agitarsi senza scopo, spinti da negative forze invisibili.

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