mercoledì 14 novembre 2012

Quando l'amore è profondo ed eterno


Jane Austen                        Locandina di “Becoming Jane” (Anne Hathaway)


Tutti i pensatori che si sono occupati dell'Amore hanno posto l'accento sull'importanza della condivisione da parte degli amanti o dei coniugi di uno stesso progetto esistenziale.

L'eroico aviatore Antoine de Saint–Exupéry (1900-1944), autore del sempreverde Il piccolo Principe, osservava: «Amore non è guardarsi a vicenda; è guardare insieme nella stessa direzione». Com'è vero tutto ciò, per la riuscita di un amore intenso e duraturo! Una notizia non recentissima, degna di un “Guinness dei primati”, ha riportato che i due sposi inglesi Percy e Florence Arrowsmith, rispettivamente di 105 e 100 anni, avevano felicemente festeggiato gli ottanta anni di matrimonio senza essersi mai venuti a noia e vivendo un affetto veramente duraturo. E Florence assicurava che Percy, oltre che essere il suo grande amore era il suo più sincero amico, mentre Percy sosteneva che il suo sentimento per Florence era una delle poche cose che non fossero state distrutte dalla cruda realtà dell'esistenza e dalle prove del tempo. Entrambi erano convinti, inoltre, che ogni minuto della loro vita vissuta insieme fosse stato degno di essere vissuto. Richiesti di spiegare il segreto di questa lunga armonia, avevano svelato che consisteva nella reciproca dolcezza e tolleranza: avevano riferito di interpellarsi sempre e soltanto con «Sì, caro» e «Sì, cara». A Catania, due innamorati molto avanti negli anni (lui 80 e lei 75) hanno fatto quella fuga d'amore che in dialetto siciliano si chiama “fuitina”; ironicamente, un giornalista del quotidiano locale “La Sicilia” aveva parlato di fuga d'amore per mettere su, non casa, ma «casa di riposo».

Il sociologo e scrittore Francesco Alberoni (1929-) nel suo best–seller Innamoramento e amore (Garzanti, Milano 1979) – frutto di un'approfondita ricerca durata 15 anni – ha studiato i meccanismi dell'innamoramento. L'innamoramento farebbe emergere la coppia amante–amato come «una piccolissima collettività caratterizzata da un'altissima solidarietà e dotata di valore… un movimento collettivo a due». In questo atto di liberazione, gli innamorati sono «legati, fascinati, vivono in un universo isolato, loro due soli, chiusi nel loro egoismo». E nello stato nascente si realizzano «esperienze emotive ricorrenti e universali» perché si cimentano profondi meccanismi di evoluzione sociale. L'innamoramento porta quindi a costruire qualcosa di nuovo e unito, partendo da due entità separate; scrive Alberoni: «L'innamoramento tende alla fusione, ma alla fusione di due persone diverse. Perché ci sia innamoramento occorre che ci sia diversità e l'innamoramento è una volontà, una forza per superare questa diversità che però esiste e deve esistere.». Secondo il sociologo «[…] con l'innamoramento nasce una forza terribile che tende alla nostra fusione e rende ciascuno di noi insostituibile, unico per l'altro. L'altro, l'amato, diventa colui che non può essere che lui, l'assolutamente particolare. […] E quando viene la risposta dell'altro, dell'amato, appare come qualcosa di immeritato, un dono meraviglioso che non si sarebbe mai pensato di poter avere. Un dono che viene tutto dall'altro, dall'amato, per scelta sua. […] E l'innamoramento è anche fiducia, affidarsi, abbandonarsi fiduciosamente all'altro. […] Noi vogliamo essere amati in quanto esseri unici, straordinari, insostituibili, assolutamente noi stessi. […] Questo è il movimento dell'individuazione. Ma nello stesso tempo l'innamoramento mette in atto un altro movimento in un certo senso opposto al primo, quello della fusione. L'amore è anche una lotta. Nell'amore ciascuno cerca di valorizzare la parte migliore di sé […] e muta se stesso per piacere all'altro […] La polarità della vita quotidiana è fra la tranquillità e il disappunto; quella dell'innamoramento fra l'estasi e il tormento. La vita quotidiana è un eterno purgatorio. Nell'innamoramento c'è solo o il paradiso o l'inferno; o siamo salvi o siamo dannati. […] la forza dello stato nascente spezza, in poche ore o in pochi istanti, barriere inconsce che, nella psicoanalisi, resistono talvolta per anni. La cosa è possibile perché cessa la paura del passato. I due innamorati compiono una confessione reciproca e ciascuno ha il potere di assolvere l'altro dal suo passato. […] nello stato nascente l'uomo strappa al cherubino la spada fiammeggiante ed entra nel giardino dell'Eden. Certo non può farne la sua stabile dimora; l'innamoramento non dura sempre […] Però quello è il giardino dell'Eden. Tutti noi lo conosciamo, tutti noi vi siamo stati, tutti noi l'abbiamo perduto, tutti noi sappiamo riconoscerlo.».

Secondo Alberoni s'innamora chi è predisposto a innamorarsi, chi è disponibile e sente il desiderio d'innamorarsi, chi non è soddisfatto di ciò che è o di ciò che possiede, chi si sente una nullità e sa che non ha nulla da perdere cambiando; soltanto l'amante–amato hanno la probabilità di «riconoscersi» in una forte e misteriosa affinità spirituale, e chi ama riesce a trascinare l'amato nel suo amore («ch'a nullo amato amar perdona»). E non esiste gelosia: se essa compare significa che uno dei due non è innamorato, e naturalmente esiste anche la possibilità di far innamorare qualcuno senza esserne innamorato. Il sociologo sostiene, inoltre, l'«opportunità di tener distinti i due momenti dell'innamoramento e dell'amore, pur riconoscendo tutta una serie di ponti e di strade che li congiungono e fanno dell'amore uno sbocco dell'innamoramento»; egli ritiene che l'innamoramento sia la verità dell'amore e che dall'innamoramento sorgano l'amore duraturo e il patto del matrimonio, passando attraverso tutta una serie di prove di verità e di reciprocità, che debbono essere superate per stabilire dei limiti accettati ma invalicabili.

Nel caso contrario del «disinnamoramento», scrive Alberoni: «Il fallimento della prova porta alla pietrificazione, all'odio, alla nostalgia». E mentre è possibile evitare d'innamorarsi con la volontà, distruggendo immediatamente il primo nucleo di attrazione, non è possibile disinnamorarsi con la propria volontà. Ovviamente, è possibile che un amore sorga senza un innamoramento ma, per esempio, soltanto dal piacere di stare insieme. Per Alberoni è possibile amare contemporaneamente due persone o amarne una ed essere innamorati di un'altra, ma non è possibile essere innamorati di due persone contemporaneamente, perché nella coppia l'individuo – essendo unico e indispensabile – non può essere sostituito da nessun altro. Quando arriva un figlio – che diventa un nuovo destinatario d'amore – i genitori s'innamorano di lui e cessa il loro innamoramento che si trasforma in amore («L'entusiasmo si spegne dolcemente in un'amorevole dedizione all'altro»). Quando tutto va bene, quindi, l'innamoramento termina nell'amore («il movimento, quando riesce, produce una istituzione») e conclude Alberoni: «Il frutto nasce dal fiore, ma il frutto non è il fiore. Quando c'è il frutto il fiore non c'è più.». E la fenomenologia dell'innamoramento omosessuale è identica a quella dell'innamoramento eterosessuale, è però più difficile il passaggio all'amore, alla istituzione o alla stabilizzazione attraverso un figlio per le ben note resistenze sociali e culturali (e ciò rende l'innamoramento più ansioso e più triste).

Lasciando il bellissimo saggio di Alberoni, un grande luogo comune da sfatare è che l'amore sia fatto soltanto per i belli. Nulla di più falso! Gli uomini e le donne molto belli sono spesso troppo narcisisti per amare veramente. Con riferimento a ciò e a Che cos'è l'io?, ricordo il pensiero del filosofo–scienziato francese Blaise Pascal (1623-1662): «[…] ma colui che ama qualcuno a causa della sua bellezza, lo ama? No, perché il vaiolo, che ucciderà la bellezza senza uccidere la persona, non gliela farà più amare. Ma se mi amano per la mia intelligenza, per la mia memoria, amano davvero me? No, perché posso perdere queste qualità senza perdere me stesso. Dov'è dunque questo io se non si trova nel corpo e neppure nell'anima? E come amare il corpo o l'anima, se non per queste qualità, che sono ciò di cui è fatto l'io, dal momento che sono caduche? Si può amare la sostanza dell'anima di una persona in modo astratto, indipendentemente delle sue qualità? Non è possibile e non sarebbe giusto. Non amiamo dunque mai nessuno, ma solo le sue qualità.». Pascal arriva sino al paradosso, scrivendo: «Non prendiamoci più gioco di quelli che si fanno onorare a causa di cariche e di uffici, perché non si ama nessuno se non per qualità a prestito» (Pascal, Pensieri, a cura di Diego Fusaro). Su queste basi, possiamo però spiegarci il grande fascino esercitato dagli uomini di potere, a prescindere delle loro qualità fisiche (spesso inesistenti) o spirituali (spesso latitanti).

Queste parole di Pascal mi hanno fatto ripensare al sonetto più bello (il sonetto XIV, uno dei più amati della letteratura anglosassone) della poetessa inglese Elizabeth Barrett (1806-1861) che, malata alla colonna vertebrale e già avanti negli anni, corrispose all'amore del più giovane e attraente Robert Browning (1812-1889), grandissimo poeta–drammaturgo inglese. A quest'amore ricco di ripercussioni letterarie, alle liriche dedicate da Elizabeth a Robert, e da lui a lei, al loro fitto epistolario scambiato durante il fidanzamento segreto, ho dedicato il saggio Se devi amarmi… amami per amore – Biografia d’amore di Elizabeth Barrett e Robert Browning (Aracne, Roma 2012). A distanza e senza conoscerla, Robert si era innamorato di lei leggendo le sue poesie e nel 1846 la convinse a sposarlo segretamente e a scappare via da casa, lontano dalle cure morbose di un padre troppo oppressivo. Il sonetto così recita:
«Se devi amarmi, fa che per null'altro sia
che per amore. Non dir: “Per il sorriso
l'amo – lo sguardo – il modo di parlar piano
– per un abito di pensiero che bene
si addice al mio e che tal giorno invero
mi portò dolce sollievo” – Diletto,
tutto ciò può mutarsi, o per te mutare –
e può così modellato l'amore
perdere forma ancora. E non amarmi
per la tua cara pietà che le guance
asciuga, – ché il pianto può scordare
chi ebbe lungo conforto, e così perderti!
Ma amami per amore che tu sempre
amar possa, nell'eternità d'amore!» (Oltre i fiumi - Sonetti dal Portoghese, a cura di Daniela Marcheschi, Via del Vento Edizioni, Pistoia 1998).
La poetessa innamorata volle che un grande scultore riproducesse le due mani (la sua e quella di Robert) strettamente intrecciate: «Che mai si sciolgano queste mani avvinte».

Qualcosa di simile l'ho ritrovato nei versi del grande poeta spagnolo Pedro Solinas (1892-1951), “il poeta–professore” – nato a Madrid ma emigrato in America nel 1936 – che componeva nel solco della poesia spagnola amorosa tradizionale ma con accenti ancora più caldi e struggenti; nella concatenazione dei sentimenti e nelle riflessioni sull'amore riusciva a trovare il significato profondo e il valore vero dell'esistenza. In una delle sue più belle poesie d'amore scriveva: «Sì, al di là della gente / ti cerco. / Non nel tuo nome, se lo dicono, / non nella tua immagine, se la dipingono. / Al di là, più in là, più oltre […]»; in un'altra lirica, aggiungeva: «Ansia […] / di raggiungere / di là da tutto / quanto in te cambia / ciò che è nudo ed eterno. / E mentre girano e girano / offrendosi / ingannandosi / i tuoi volti, i tuoi capricci, i tuoi baci, / le tue delizie volubili […] / aver raggiunto il centro puro, immobile, di te stessa.» [da La voce che ti devo (La voz a ti debida), Signo, Madrid, dicembre 1933].

Definendo l'amore su basi spirituali, esso è l'unico porto saldo in un mare d'incertezze e il motore trascendente che evita la solitudine e il nulla, che diviene ragione di vita, che consente una piena realizzazione nell'ascolto e nel dialogo, e che stabilisce una comunicazione di unione dinamica tale da risvegliare il meglio dell'essere umano e da farlo aprire verso l'esterno, superando una posizione di chiusa solitudine e di narcisismo. Con l'amore, si esce dalla propria interiorità e ci si rapporta con la vita dell'altro, e con il resto del mondo, esistendo proiettati nella persona dell'altro. Ritornando a Pascal e alla Barrett, il nostro amore non si può limitare alla bellezza esteriore o alla perfezione del volto amato. Se così fosse l'amore dovrebbe immediatamente scomparire con lo sfiorire della bellezza; ma quando l'amore tra due esseri umani ( di qualsiasi sesso) è perfetto, questo non succede e il sentimento resiste alla malattia e al declino fisico perdurando immutato sino alla morte. Prendendo in considerazione l'amore tra Elizabeth e Robert Browning, ciascuno ebbe una comprensione vera e profonda dell'altro, furono due anime «erette e forti… faccia a faccia»; ed è questo l'amore che dura per sempre, che non teme né i capelli bianchi né le rughe né il declino della malattia, e che non ha bisogno di lifting o di silicone. In un suo grado estremo questo amore può divenire “caritas”, che è quel sentimento intenso e assoluto, diretto anche verso ciò che non è bello ma anzi ributtante; e ciò accade perché è l'amore stesso a conferire la bellezza e la perfezione agli esseri sfigurati. Questo è l'amore di sacrificio e di donazione di Teresa di Calcutta e dei grandi missionari, che purtroppo è quasi impossibile e ignoto a molti di noi. E, sempre ritornando a Pascal, l'amore dovrebbe indirizzarsi non all'esteriorità o alle qualità dell'altro (questo è amore che dura pochissimo), ma alla sua persona interiore e al nucleo esistenziale soggettivo e profondo dell'essere amato, nel tentativo di conoscerlo nella sua sostanza più intima, di comunicare con lui e di comprenderlo in tutte le sue scelte e le sue azioni ideali.

E' questo l'amore che dura per sempre, l'amore che tutti sognano di possedere!

L'interesse per le vicende amorose descritte in letteratura è certamente sempre vivo. Da adolescente, amavo molto la scrittrice inglese Jane Austen (nata a Steventon il 16 dicembre 1775 e morta a Winchester il 18 luglio 1817 a soli 41 anni), autrice inglese preromantica, una delle scrittrici più famose d'Inghilterra, l'illustre antesignana della letteratura rosa, meno romantica e più nobile (con lei in realtà si dovrebbe parlare più appropriatamente di letteratura al femminile). Con arguzia ironica seppe rappresentare il mondo della campagna inglese, raccontandoci gli amori di eroine modeste e giudiziose, ricche di buon senso e moderazione, che – attraverso delusioni momentanee, disamori superati e ostacoli quasi insuperabili, attendendo pazientemente – riescono a conquistare con una certa difficoltà l'amore vero dei loro sogni giovanili e a costruire nel modo migliore una tanto desiderata felicità matrimoniale duratura e soddisfacente (lei, che non aveva potuto realizzare il suo sogno matrimoniale non sposandosi mai, come l'amata sorella Cassandra Elizabeth). E questo è accaduto nei suoi sei romanzi, divenuti la colonna vertebrale del romanzo d'amore preromantico: Ragione e sentimento (Sense and Sensibility) (1811); Orgoglio e pregiudizio (Pride and Prejudice) (1813); Mansfield Park (Mansfield Park) (1814); Emma (1815); e L'abbazia di Northanger (Northanger Abbey) e Persuasione (Persuasion) pubblicati postumi nel 1818. La grande Virginia Woolf, che l'amava, le dedicò molte citazioni del suo saggio “Una stanza tutta per sé (A room of one's own)” e i due articoli “Jane fa i suoi esercizi” (recensione di Amore e Amicizia pubblicata su The New Statesman nel 1922) e “Jane Austen” (pubblicato su The Common Reader: First Series nel 1923); Virginia la definì: «l'artista più perfetta tra le donne, la scrittrice i cui libri sono tutti immortali»; disse anche: «Mai un romanziere ha saputo usare a questo modo il suo senso impeccabile dei valori umani».

La Austen amava il romanzo, così come il poeta ama la poesia, nonostante ai suoi contemporanei esso apparisse come un genere sottovalutato, venendo trattato «come cosa dappoco». In Northanger Abbey, con il suo ben noto sarcasmo, Jane così scriveva: «Sì, romanzi; – poiché io non intendo adottare l'uso ingeneroso e impolitico tanto diffuso tra i romanzieri di denigrare con la loro sprezzante critica le opere che loro stessi contribuiscono ad accrescere – facendo lega con i loro maggiori nemici nell'attribuire i più duri epiteti a quelle opere e non permettendo mai che vengano lette dalla loro eroina: questa se casualmente prende un romanzo, ne sfoglia con disgusto le insipide pagine. Ahimè! se l'eroina di un romanzo non viene incoraggiata dall'eroina di un altro, da chi può attendersi protezione e rispetto? Non posso approvare tale atteggiamento. Lasciamo siano i critici a offendere a loro piacimento quelle effusioni di fantasia e a parlare seccamente, all'uscita di ogni nuovo romanzo, del pattume che invade la stampa. Noi non abbandoniamoci l'un l'altro; siamo una classe oppressa. Sebbene la nostra produzione abbia offerto autentico piacere più della produzione di ogni altra corporazione letteraria, nessun'altra opera letteraria è stata tanto maltrattata. Per orgoglio, ignoranza o rispetto della moda i nostri nemici sono tanti quanto i nostri lettori.» (A cura di Anna Luisa Zazo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1982). Nell'introduzione al romanzo Emma dell'Austen, scritta nel 1815 da Walter Scott (1771-1832) e apparsa sulla “Quarterly Review” del 14 marzo 1816, il poeta–romanziere scozzese parla del romanzo come di un «pane mangiato di nascosto» e, ricordando l'«universale fascino della narrativa», così scrive: «[…] quando prendiamo in considerazione quante ore di fiacchezza e ansia, di vecchiaia abbandonata a se stessa e di celibato solitario, e persino di dolore e povertà sono ingannate dalla lettura di questi leggeri volumi non possiamo condannare austeramente la fonte da cui si ricava il sollievo di una tale porzione di miseria umana […] Se tali scuse possono essere ammesse nel giudicare gli sforzi di comuni romanzieri, il dovere del critico diviene doppiamente quello di trattare con gentilezza e sincerità opere, che, come quella di fronte a noi, proclamano una conoscenza del cuore umano, insieme alla capacità e alla risolutezza di portare quella conoscenza al servizio dell'onore e della virtù.» (Jane Austen. Critical Assessment, a cura di I. Littlewood, vol. I, East Sussex 1998, pp. 287-96, nella traduzione di Daniela Caselli).

P.S. Del 2007 è il film Becoming Jane Il ritratto di una donna contro, di Julian Jarrold con Anne Hathaway (Jane Austen) e James McAvoy (il giovane avvocato rampante e innamorato Thomas Langlois Lefroy, che Jane non poté sposare per l'intervento della famiglia di lui che desiderava una sposa più aristocratica e ricca), trasmesso alcuni giorni fa da Raimovie. Il film racconta gli anni giovanili di un'Austen ancora soltanto aspirante autrice la quale, da femminista ante–litteram, rinunzia a diverse offerte di matrimonio senza sentimento e una volta innamoratasi infelicemente rimarrà fedele all'amore perduto e riuscirà a vivere dei frutti della sua penna. Nella sua recensione al film “L'educazione sentimentale di Jane Austen attraverso un'attenta radiografia del tessuto sociale della sua epoca”, Marzia Gandolfi ricorda come Jane Austen sia una giovane donna in età da marito nell'Hampshire del 1795 e come sia stata educata dal padre alla letteratura e alla musica. Jane sogna un matrimonio d'amore ma la madre, più prosaicamente, caldeggia il suo matrimonio con l'aristocratico ma poco interessante Sir Wisley (nipote della ricca Lady Gresham). La vita e gli equilibri della ragazza vengono, poi, sconvolti dall'arrivo in campagna del giovane avvocato irlandese Tom Lefroy, colto e sfrontato. Scrive la Gandolfi: «Invaghitosi, ricambiato, dell'orgogliosa Jane, Tom ispirerà col suo amore il cuore e le pagine della Austen. Come si diventa Jane Austen? Rinunciando al sentimento, accettando il proprio status di zitella e concentrandosi sul comportamento sociale della borghesia del primo Ottocento. L'educazione sentimentale della scrittrice inglese anticipa i temi che la stessa Austen approfondirà in seguito nei suoi romanzi: gli affari amorosi delle fanciulle, l'eterno binomio mente e cuore, etica ed estetica, ragione e istinto, i gruppi di famiglia, il ballo. […] Contro l'ipocrisia elevata a norma di vita dell'aristocrazia britannica e contro l'anacronismo che costringeva figlie e mogli in una condizione di immaturità psicologica e culturale, Jane si proponeva come un modello di donna emancipata. […] La storia dell'amore impossibile della Austen per Tom Lefroy diventa (anche) un pretesto per radiografare il tessuto sociale dell'epoca, arcaico e rigidamente pregiudiziale. […] Al regista interessano i dinamismi di gruppo, i microcosmi e le regole che li governano: il rito del cibo, con le sue liturgie della disposizione degli invitati intorno alla tavola, il rito della danza con il ballo della stagione invernale, che restituisce l'affanno celato sotto le educate conversazioni e i cortesi inchini. […]»

(http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=49559).

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