venerdì 14 dicembre 2012

Hermann Hesse e un virtuoso del gioco del corteggiamento senza amore


Hermann Hesse                     Locandina di Siddhartha


In un piccolo racconto giovanile (1906), dal titolo Amore (Liebe) – tratto da un tascabile Newton intitolato “Amore” che contiene diversi piccoli racconti e poesie dedicate all’amore, scritti da Hermann Hesse nel periodo compreso tra il 1906 e il 1918 – l’autore analizza l’intima essenza dell’amore, la quale non è né l’arte del corteggiamento né la facilità della conquista amorosa, che non sono in grado di dare felicità o appagamento.

Nel racconto, il narratore parla del signor Thomas Höpfner, un suo amico; tra tutte le persone di sua conoscenza, egli è «colui che ha maggiore esperienza dell’amore». Scrive Hesse: «Perlomeno ha avuto molte donne, conosce le arti del corteggiamento per la lunga pratica che ne ha fatto e può gloriarsi di moltissime conquiste. Quando me le racconta mi sembra di essere uno scolaretto. A dire il vero qualche volta nel mio intimo più segreto penso che egli stesso non capisca la vera essenza dell’amore molto più di uno di noi. Non credo che gli sia capitato spesso nella vita di aver vegliato e penato per notti a fianco di una donna amata. Ne ha comunque raramente avuto bisogno, e glielo voglio concedere in quanto, a causa dei suoi successi, non è un uomo felice. Lo vedo invece non di rado confuso per uno stato di leggera malinconia, e la sua condotta nel complesso ha un qualcosa come di calma rassegnata, mite, che non sempre sembra appagamento. Be’, queste sono solo congetture, e forse illusioni. Con la psicologia si possono scrivere libri, ma non penetrare nel cuore dell’uomo, e per giunta io non sono uno psicologo. Pur sempre mi sembra che a volte il mio amico Thomas sia soltanto un virtuoso nel gioco dell’amore, perché a lui dell’amore, che non è più un gioco, manca qualcosa, e che egli sia malinconico proprio perché percepisce dentro di sé quella mancanza e se ne cruccia. Pure congetture, forse illusioni.».

Davanti a una bottiglia di vino, mentre chiacchieravano, Thomas Höpfner ha raccontato all’amico il suo incontro con la signora Förster e «non si trattava di una vera e propria esperienza o di un’avventura, ma soltanto di uno stato d’animo, di un aneddoto lirico».
La signora Förster era una bellissima donna trentenne «che abitava in città da poco tempo e aveva fama di aver avuto molte relazioni amorose». Il marito era una nullità e il mio amico la frequentava da poco sostenendo che nulla fosse successo con lei:

«La Förster dunque», disse alla fine, arrendendosi «se ti interessa così ardentemente! Cosa devo dire? Non è successo niente con lei.»
«Proprio niente?»
«Be’, dipende. Niente che ti possa raccontare. Bisognerebbe essere un poeta.»
Risi.
«Non hai molta considerazione dei poeti.»
«Perché dovrei averla? I poeti sono di solito persone che non fanno esperienza di nulla. […] Fate sempre un rumore infernale per cose banali, qualsiasi stupidaggine basta per fare un romanzo…»
«E questa storia con la signora Förster? Anche questa un romanzo?»
«No. Uno schizzo. Una poesia. Una vibrazione dell’animo, sai.»
«Dai, ti ascolto.»

La donna era bella e lo interessava ma aveva un lungo passato: «Mi sembrava che avesse amato e conosciuto ogni tipo di uomini, ma nessuno sopportato a lungo.». Thomas si era fatto presentare ed era andato da lei un paio di volte: «In quel periodo non aveva amanti, si vedeva chiaramente.». Thomas Höpfner aveva cominciato ad avvicinarsi e a lanciare delle occhiate significative: «Una parola tenera mentre si brindava col bicchiere di vino, un baciamano che dura troppo a lungo. Lei accettava, in attesa di ciò che sarebbe poi venuto.». Una volta le aveva fatto visita in un momento in cui era sola e lei lo aveva ricevuto: «Quando fui seduto di fronte a lei mi accorsi che qui qualsiasi metodo era inopportuno. Perciò rischiai tutto e le dissi semplicemente che ero innamorato e che mi mettevo a sua disposizione.». Le disse che voleva da lei Amore e che le offriva tutto quel che era e che poteva fare per lei. La conversazione si era svolta in quel modo:

«Sì, questo lo dicono tutti. Non c’è mai nulla di nuovo nelle vostre dichiarazioni d’amore. Cosa vuole fare dunque per incantarmi? Se davvero amasse, avrebbe già da tempo fatto qualcosa.»
«Cosa per esempio?»
«Dovrebbe saperlo da sé. Avrebbe potuto digiunare per otto giorni o spararsi, o perlomeno scrivere versi.»
«Non sono un poeta.»
«Perché no? Chi ama come soltanto si dovrebbe amare diventa poeta ed eroe per un sorriso, per un cenno, per una parola di colei che ama. Se le sue poesie non son belle, tuttavia sono appassionate e piene d’amore…»
«Ha ragione signora. Non sono un poeta o un eroe, né tantomeno mi sparo. O anche se lo facessi, sarebbe per il dolore di sapere che il mio amore non è così ardente e forte, come lei dovrebbe esigere. Ma al posto di tutto ciò ho un unico, minuscolo vantaggio su quell’amante ideale: io la capisco.»
«Che cosa capisce?»
«Che lei ha il mio stesso desiderio: lei non vuole un amante, vorrebbe amare, assurdamente amare. E non può farlo.»
«Lei crede?»
«Sì. Lei cerca l’amore come lo cerco io. Non è forse così?»
«Forse.»
«Perciò può anche non avere bisogno di me, e non la seccherò più. Ma forse può ancora dirmi, prima che io vada via, se mai una volta ha incontrato il vero amore.»

La signora Förster gli aveva raccontato che una volta, forse, aveva amato. Era successo tre anni prima e allora per la prima volta aveva avuto la «sensazione di essere veramente amata». Quell'uomo l’aveva amata ma, dato che era sposata, non glielo aveva detto ma – quando si era accorto che lei non amava il marito e aveva un amante – le aveva proposto di «sciogliere il matrimonio». Pur non essendo avvenuta la separazione coniugale, quell’uomo si era curato di lei, l’aveva vegliata e era divenuto il suo sostegno e il suo amico. La signora Förster aveva concluso la conversazione, dicendo: «E quando io per voler suo lasciai il mio amante e mi dichiarai disposta ad accettarlo, egli mi rifiutò, se ne andò e non tornò mai più. Solo lui mi ha amato. Nessun altro.». Al termine, Thomas Höpfner le aveva risposto: «Addio. È meglio che io non torni più.». Dopo un attimo, aveva chiamato il cameriere e se ne era andato.

Concludendo il suo racconto, scrive Hesse: «Da questo suo racconto capii fra l’altro che a lui mancava la capacità di amare veramente. Egli stesso l’aveva confessato. Eppure non si deve dar molto credito agli uomini quando parlano dei loro difetti. Taluni si credono perfetti, perché non chiedono molto a se stessi. Il mio amico invece no, e può darsi che proprio il suo ideale di un vero amore lo abbia fatto divenire così com’è. Ma forse quell’uomo intelligente mi ha preso in giro e probabilmente quel dialogo con la signora Förster è stato solo una sua invenzione. Perché è un poeta nascosto, per quanto di ciò si schermisca. Solo congetture, forse illusioni.».
[Da “Amore”, a cura di Mirella Ulivieri, Newton Compton Editori, Roma 1993]

Appare evidente che Thomas Höpfner si ritira perché capisce che non ha mai amato di vero amore, in quanto l’amore è un sentimento interiore profondo che spinge alla vicinanza e alla cura della persona amata, al sostegno e all’amicizia disinteressata, trascendendo il sesso e la passione amorosa vera e propria e nutrendosi di molto altro ancora; certamente, una cosa che non aveva mai provato.

P.S. Da molti testi di Hermann Hesse sono stati tratti bei film.

Il romanzo Siddhartha (scritto nel 1922 e pubblicato in USA nel 1951) è la storia del viaggio spirituale (scritto in stile lirico) di un uomo indiano, Siddhartha Gautama principe di Kapilvastu, che al tempo di Budda rinuncia al lusso e alle ricchezze per vivere in ascesi e in povertà così recuperando la sua spiritualità attraverso digiuni e privazioni di ogni genere: con lui si muove il fedele amico Govinda (Siddhartha nell'antica lingua indiana del sanscrito significa: “l'uomo che ha trovato il significato della vita” e, prima di lasciare la casa del padre. Siddhartha proclama: «Voglio essere libero, voglio essere selvaggio»).

Nel 1972 ne è stato tratto l'omonimo film americano, diretto da Conrad Rooks e interpretato da Shashi Kapoor, Simi Garewal e Romesh Sharma. Ha scritto Dianella Bardelli che nel 1953 Conrad Rooks (1934-2008) ricevette da leggere il libro di Hermann Hesse dalla moglie Zina Rachevsky: «“Sono impazzito per quel libro”, affermò. Sentiva che quel romanzo parlava non a lui ma di lui. Conrad e Zina abbandonarono New York e per tre anni viaggiarono in Asia; Ceylon, Thailandia e India furono le loro mete. A Bombay conobbero Sashi Kapoor, uno dei più importanti attori indiani del tempo, che diventerà il protagonista del film di Rooks tratto da romanzo di Hesse. Poi tornarono in America. […] Rooks realizzò "Siddhartha” nel 1972 e vi lavorarono solo attori indiani. Riuscì a vincere la riluttanza del governo indiano a concedere i permessi a girare il film, grazie all'intervento di Indira Gandhi, sua amica personale. Il film fu girato nel Nord dell'India nella città santa di Rhishkesh e nei palazzi e nelle proprietà del Maharajah di Bharatpur. Rooks finanziò di tasca propria gran parte del film, ne fu lo sceneggiatore e il regista. Le musiche che accompagnano tutto il film si devono a compositori e interpreti indiani, le parole dei brani musicali sono tratte da poesie di Tagore. Come direttore della fotografia Rooks si avvalse dello svedese Sven Nykuist, già collaboratore di Bergman. Alla loro intesa nel lavoro si devono l'assoluta perfezione e bellezza delle inquadrature dei paesaggi, delle foreste, dei palazzi e dei fiumi di questa India incontaminata (perché inaccessibile, in quanto proprietà privata). Finito il film, che ebbe un grande successo in India ma non in America, Rooks tornò a New York. Da allora non ha più girato nessun film. Dal 1984 è vissuto per venti anni a Pattaya in Thailandia. È morto a New York nel 2008. […] Ma è veramente bella questa India mitica in cui si viaggia a piedi, si vive nelle foreste, si chiede e si ottiene cibo se si ha fame, ci si immerge e si attraversano fiumi azzurri, puliti e limpidi. Un mondo dell'immaginazione, un'India della fantasia, ma non è sempre così nell'arte? “Giri la realtà”, dice Rooks nell'intervista, “ma la fai apparire irreale”.». E Siddhartha incontrerà poi Kamala che gli insegnerà l'arte dell'amore: «“Sarai il mio maestro”, le dice, “il mio guru”»; e la vicenda di Kamala diventerà simile a quella dell'amata Zina Rachevsky (Kamala morirà per il morso di un serpente, Zina per un avvelenamento rimasto sconosciuto durante il suo ritiro in un remoto monastero). Al termine della sua vita Siddhartha accetterà di divenire un umile barcaiolo traghettatore nel fiume che tanto ama; scrive la Bardelli: «Alla fine del film Siddhartha e Govinda si ritrovano. “Un uomo non è mai solo santo o solo peccatore”, dice all'amico ritrovato, “il Buddha si trova nel ladro e nella prostituta. Dio è ovunque. Ecco perché non credo ai maestri. Il fiume è il miglior maestro”.» (gennaio 2011, 
http://www.lankelot.eu/cinema/rooks-conrad-siddhartha.html).

Il regista Florian Gallenberger (premio Oscar nel 2000 per un cortometraggio e regista nel 2009 del film di successo “John Rabe”) sta preparando una versione cinematografica di Narciso e Boccadoro, stupendo racconto di ambientazione medievale di Hermann Hesse. Ha detto Gallenberger: «Si tratta di un sogno lungamente accarezzato, ho letto il libro quando ero al liceo, a diciassette anni, e ne sono stato subito conquistato; ho cercato di ottenerne i diritti per anni, ma ci sono riuscito soltanto ora.».

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